martedì 24 marzo 2020

"LA ROSA DI CARTAPESTA" di Tecla Rinaldi



Buongiorno follower, buon martedì!
Vi segnalo "La rosa di cartapesta" dell'autrice Tecla Rinaldi






Autore: Tecla Rinaldi

Genere: romanzo rosa

Disponibile in ebook a € 0,99

e in formato cartaceo a € 8,32
  



TRAMA: 

Letizia, una giovane donna di 27 anni alle prese tra lavoro e Università, vive il dramma della malattia di suo padre, ormai nelle fasi finali, e della sua morte . In quel periodo di alta vulnerabilità, incontra Luca, trentenne, carino, ricco, ambizioso, sempre gentile con lei che sembra fare di tutto per conquistarla. Luca però non è single. Tra loro nasce una forte intesa sorta da un susseguirsi di eventi che li vede entrambi coinvolti. I due si avvicinano ancora di più quando Luca, appassionato di fotografie, chiede a Letizia di posare per lui. Nasce quindi tra loro una relazione proibita. Letizia ha due amici (che rispecchiano le voci della sua coscienza): Marco, che la mette sempre in guardia sul rapporto con Luca che si scopre essere un uomo furbo e dalle svariate maschere, e Sonia che invece cerca di convincerla a lasciarsi andare e a vivere le emozioni del momento senza farsi troppe domande. Letizia si trova così molto confusa tra la voglia di seguire il suo cuore e la paura di soffrire. Come finirà tra i due? Quali segreti nasconde il vero Luca, che si vedrà coinvolto in qualcosa di terribile? La speranza è che tutto quello che viviamo abbia un senso e da questo senso coglierne l'insegnamento.



BIOGRAFIA: 

Tecla Rinaldi, classe 1984, educatrice di professione, vive nella provincia di Bergamo. È appassionata di musica e cucina.



DICE L’AUTRICE:

Il libro nasce dalla voglia di ricordare mio padre che è venuto a mancare qualche anno fa. Infatti è dedicato a lui. I fatti che racconto sono per lo più di fantasia ma prendo ispirazione da esperienze e incontri che ho vissuto. Anche i personaggi si ispirano alle mie amicizie.



BREVE ESTRATTO: 

“Ho letto da qualche parte che la speranza non è la certezza che qualcosa abbia un buon esito, bensì la convinzione che quel qualcosa abbia un senso. 
Non avevo mai pensato a questa cosa. 
Quando mio padre si ammalò, da un giorno con l’altro, speravo in cuor mio che la sua malattia si risolvesse nel miglior modo possibile, non di certo che essa avesse un senso!
Si concluse invece con la sua morte. Gli era bastato avere un malore, correre in pronto soccorso e scoprire che una parte nel suo corpo era cambiata. 
Io avevo intuito fosse grave, ma lui no. Quando lo andai a trovare in ospedale, il giorno dopo l’ intervento a cui era stato sottoposto d’urgenza, lessi nei suoi occhi tranquillità e rilassatezza.  Era convinto si trattasse di un malessere passeggero e che tutto si sarebbe sistemato nel giro di qualche giorno.
Forse la sua non era convinzione, forse era speranza? Me lo sono chiesta tante volte. 
Possibile non avesse paura? Non aveva capito? O non voleva credere che era arrivato il momento che noi tutti temiamo?
Eh già! Fa parte della vita, si nasce e si muore, un inizio e una fine, da accettare, inevitabilmente, anche se spaventa e lo vorremmo evitare. 
Dopo essere stata convocata insieme a mia madre dal primario di chirurgia, un uomo alto e rude, per discutere della situazione di mio padre, ebbi i miei effetti psicosomatici: mal di pancia e nausea. Una botta: “Il papà morirà! L’unica cosa che potete fare è pregare, se siete credenti, e sperare in un miracolo!”
Ricordo ancora la mia reazione come se fosse ieri. La mia faccia aveva cambiato completamente espressione e forse anche colore, mentre mia madre aveva perso i sensi, soccorsa dall’infermiera che l’aveva poi fatta sdraiare su un lettino. Le lacrime mi strozzavano la gola, senza uscire fuori, e continuando a sostenere lo sguardo del medico, che mi guardava quasi con sfida, mi ripetevo nella testa: “Non piangere! Devi essere forte!” 
Ogni volta che stavo con mio papà, fingevo di essere serena e poco preoccupata, e lui, probabilmente, faceva lo stesso, seppur in seguito fu messo al corrente della sua malattia. Ma il suo corpo non mentiva: appariva sempre più stanco e magro ma con una forza da leone. Era tenace, il mio papà! Finché, un giorno di fine estate, mi disse: 
“Non ce la faccio più. Aspetto il Natale e poi me ne vado!” 
“Ma dove te ne vai papà?” gli risposi quella volta. 
Lui aveva sempre avuto un gran senso dell’umorismo, gli piaceva scherzare parlandomi di cose sciocche, talvolta banalizzando la complessità e gravità del problema. In quella situazione era il suo modo di combattere, di sopravvivere. 
Fu un periodo difficile per tutti. Mio padre se ne stava andando e io mi sentivo smarrita. Avevo paura di non essere in grado di sostenere questa grande perdita, di non saper gestire il vuoto che mi avrebbe lasciato. 
Scoprii che la mia speranza era stata, più di tutto, desiderare che mio padre non soffrisse troppo. Quello per cui pregavo era questo. 
Ma mio padre ha sofferto lo stesso e molto. 
Ad oggi, penso che poteva andare anche peggio, dopotutto il dolore si cura con potenti anestetici, quello fisico almeno, quello morale non saprei.. con l’amore forse? 
Papà ti sono stata vicina abbastanza? 


Nessun commento:

Posta un commento