domenica 19 gennaio 2020

"IL PRIGIONIERO DEL SULTANA" di Cristiano Pedrini



Buongiorno follower, buona domenica!
Oggi lascio la parola a Cristiano Pedrini che ci parla della sua ultima pubblicazione: "Il prigioniero del Sultana"






Autore: Cristiano Pedrini

Genere: Narrativa

Disponibile in ebook a € 2,99
a breve anche in formato cartaceo 

Pagina autore: Cristiano Pedrini Autore 



TRAMA:

Keegan Mason, un giovane studente di Storia, rivive un episodio sconosciuto del passato della propria famiglia rivelatogli da James Marshall, ricercatore universitario intento a risolvere il caso che circonda l’incidente accaduto al battello SS Sultana, naufragato sul Mississippi nel 1865. Keegan accetterà di riesumare i fatti accaduti lasciando emergere realtà irrisolte, costretto dal misterioso Leonard, assistente di Marshall, fino a infrangere la barriera che separa passato e presente.
L’intreccio delle storie degli avi e dei discendenti mostreranno loro fino a dove può spingersi l’odio e il rancore.
Dicono che siamo capaci di perdonare tutto a noi stessi e nulla agli altri, ma io vorrei provarci lo stesso…



BIOGRAFIA:

Cristiano Pedrini, bibliotecario dal 1998 nella provincia di Bergamo, giornalista pubblicista, dopo numerose esperienze nel campo del volontariato sociale e culturale, è stato direttore artistico della Fiera del Libro dell’Isola Bergamasca dal 2006 al 2010 e del Cineteatro “Giuseppe Verdi” dal 2006 ad oggi.
I primi ricordi sul “piacere” dello scrivere” appartengono alla scuola elementare dove attendevo con impazienza l’ora del tema in classe! Dopo una lunga pausa nell’estate del 2014 ha riscoperto, intatta la passione dello scrivere ritrovando se stesso.
Ha pubblicato Klein Blue (Aletheia Editore), Le regole di Hibiki (Fdbooks), L’ombra del principe (Triskell) e diversi altri titoli pubblicati in Self.






BREVE ESTRATTO: 

Se pensassi…
Ecco di nuovo quella domanda invadere la mia mente, come se sapesse che la mia resistenza, dopo quegli ultimi giorni, non fosse più in grado di respingere la sua irruzione.
Avevo cercato di osteggiarla in tutti i modi possibili: dai ricordi precedenti a quel maledetto giorno in cui il mio mondo era stato sostituito da quell’unica stanza nella quale mi trovavo, alle fantasie più disparate che riuscivano a trasportare la mia immaginazione oltre quelle fredde e disadorne mura.
Ma anche questa volta la domanda era arrivata quando meno me l’aspettavo. “Sto per andarmene. Lo so, lo sento. A questo punto con chi vorrei parlare per l’ultima volta?” mi ripetei.
La risposta non era affatto scontata. Non per me. Non riuscivo a rispondere con la sincerità che in quel momento avrei dovuto mostrare. Eppure, sapevo che il momento per pormi davvero quella domanda sarebbe giunto presto, nonostante mi sforzassi di credere diversamente.
Sollevai lo sguardo verso quella finestra, la stessa che avevo immaginato più volte di scardinare per trasformarla in una via di fuga e potermi aggrappare alle nuvole che vedevo attraversare il cielo. Avrei voluto salirci sopra e aspettare che mi portassero via.
Peccato che non avrei mai potuto raggiungerla, sia per l’altezza a cui si trovava, sia per le sue dimensioni; non sarei mai riuscito a passarci, nonostante la mia corporatura esile.
Anzi, in quei giorni avevo perso sicuramente altro peso e non certo perché mi lesinassero il cibo. Più di una volta lo lasciavo nel piatto sperando di indurre quell’individuo a lasciarmi andare, ma probabilmente ottenevo solo il risultato di farlo divertire, il puerile e risibile tentativo di mostrarmi non ancora vinto.
Senza rendermene conto, nonostante il mio sguardo fissasse le gambe distese su una stoffa scarlatta, vidi i loro contorni sfumare, aprendomi la porta di quel ricordo che avevo più e più volte visto ripetersi, come un vecchio film, ma privo del finale che tanto agognavo. Perché continuavo a rivivere quel giorno, a voler ripetere all’infinito quei gesti? 
Forse speravo di trovare una spiegazione a tutto quello che mi era accaduto o, forse, era solamente il desiderio di non trovare nulla di sensato e di logico in tutto ciò? Se la risposta a quella domanda fosse stata inevitabilmente sì, allora non avrei potuto combattere ad armi pari con chi mi aveva fatto tutto quello. Non potevo anteporre la razionalità e la speranza di convincerlo a desistere e, sebbene una parte di me si sentisse stranamente sollevata da quella risposta; era inevitabile che essa scatenasse, come contrappeso, la paura di non sapere come trovare una via di fuga da quella che, ormai, non potevo definire in altro modo se non una prigione. 


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