mercoledì 13 maggio 2020

"L'ULTIMO RINTOCCO" di Diego Pitea



Buongiorno follower!
Vi segnalo "L’ultimo rintocco" dell'autore Diego Pitea, edito GoWare.




Autore: Diego Pitea

Genere: Thriller psicologico

Casa editrice: GoWare

Disponibile in ebook a € 6,99
e in formato cartaceo a € 17,09

Pagina autore: L'ultimo rintocco



TRAMA:

“L’essenza del male ha preso forma umana”. È questo che pensa Richard Dale, psicologo e criminologo, entrando nella camera da letto di un appartamento alla periferia di Roma. A terra giace una donna incinta con un taglio sopra il pube. Del feto nessuna traccia e sulla parete una scritta enigmatica: “Rosso”. A interpellarlo è Marani, il capo dell’Unità Analisi Crimini Violenti, per indagare sull’“Escissore”, un serial killer edonista, crudele e geniale, con il vezzo di lasciare sulla scena del crimine degli indizi che, opportunamente decifrati, permettono di risalire all’identità della prossima vittima. Coadiuvato dalla profiler Doriana Guerrera, Dale analizzerà, come in una macabra caccia al tesoro, le tracce lasciate dall’assassino, ma quando tutto sembra aver fine avrà inizio il vero incubo, che lo porterà a scontrarsi con le sue paure più profonde e con un nuovo rompicapo all’apparenza insolubile… fino allo scoccare dell’ultimo rintocco.



DICE L’AUTORE: 

L’idea del libro mi venne di colpo, come tutte le trame dei miei libri, mentre passeggiavo in vacanza sul lungomare di Palermo. Definita la storia, avevo bisogno di qualcosa per il rompicapo del libro, ma per diverso tempo girai a vuoto. Mi serviva qualcosa di misterioso ma al tempo stesso reale, qualcosa che la gente avrebbe potuto riconoscere. La soluzione me la diedero le mie agenti letterarie di allora. Mi descrissero un oggetto strano che raccontava una storia straordinaria, quella che serviva per il mio libro. Ne restai talmente colpito che passando da Roma, con il libro già scritto, volli andare a vederlo. Non mi dilungo troppo per non rivelare nulla della trama. 
In questo libro compare per la prima volta la figura di Samuele, il figlio di Richard Dale, che avrà una parte fondamentale nel quarto libro e sono elencate alcune delle passioni di Dale - e mie: scacchi, pittura e le sue famose liquirizie.  



BREVE ESTRATTO:

L’uomo in tuta bianca passò loro copriscarpe di plastica, una cuffia e dei guanti azzurri. Li indossarono in silenzio e con movimenti esperti. Era una procedura familiare che eseguivano, ormai, con il pilota automatico, come una liturgia, come la vestizione del prete prima della messa. 
L’uomo porse loro un barattolo verde. Richard v’infilò controvoglia indice e medio, estraendo una sostanza cerosa bianca che si passò sotto il naso. Odiava quel maledetto odore, odiava quella sensazione di dita attaccaticce e il bruciore che lasciava per giorni, ma era un prezzo che pagava quasi volentieri. 
Il fetore stagnante proveniente dall’interno l’aveva convinto a non fare troppo lo schizzinoso. 
«Comincia la festa» fece all’indirizzo di Doriana. 
Lei annuì. Fece segno all’uomo in tuta bianca di precederli. 
Oltrepassarono una porta in legno con un buco al centro coperto da un foglio di compensato. Una lampadina pendeva dal soffitto e illuminava un corridoio con l’intonaco scrostato a chiazze irregolari. 
«La stanza è quella in fondo a destra» fece l’uomo con la tuta bianca. La voce attraverso la mascherina suonò falsa, metallica. 
Su un tavolinetto sulla sinistra, Richard vide due foto: nella prima una donna con in braccio un bambino di circa tre anni, lo sfondo leggermente sfocato, da cui s’intravedeva uno scivolo e un’altalena; l’altra ritraeva la stessa donna, quasi in primo piano, abbracciata a un uomo stempiato a cui mancava un incisivo; sorridevano, sembravano felici. 
I sorrisi, i figli, il cane. Lo aveva notato in diversi luoghi nei quali era stato per un omicidio: le persone ci tenevano a mostrare gli aspetti migliori della loro vita, come un esorcismo, come una barriera che tenesse lontano il male. Sarebbe stato bello, pensò. Purtroppo non era servito a niente. 
Oltrepassarono una cucina che si apriva sulla destra. Un tavolo bianco scheggiato in più punti e quattro sedie, una delle quali spaiata. Diverse macchie di umidità calavano dal tetto in corrispondenza dell’angolo più lontano; erano sul punto di ricongiungersi per attaccare la parte bassa del muro. 
Svoltarono a sinistra. La porta della stanza da letto. Il fetore, nonostante la canfora, si fece più intenso. Vennero investiti da un’aria pregna, che li avvolse come un sudario. Richard ebbe l’impressione che l’umidità fosse sul punto di condensarsi in tante piccole goccioline. 
L’uomo con la tuta bianca si scostò e, senza dire niente, ritornò indietro. 
Davanti, un ambiente quadrato tre per tre. Altri uomini in tuta bianca si muovevano in silenzio come in un rito pagano. Addossato alla parete di fronte vi era un letto con la testiera in ottone e sopra, appeso, un quadro che raffigurava la Madonna, i lineamenti del viso erano stati dipinti in maniera così approssimativa da farla sembrare un efebo. Uno degli uomini del team della scientifica si sporse sul letto, la macchina fotografica a pochi centimetri dal dipinto, per cogliere una scritta sulla superficie del vetro: “Rosso”. 

Degli schizzi di sangue tracciavano un solco immaginario che partiva da un lenzuolo candido, adagiato sul pavimento, di fronte al letto. Sotto, un corpo. 




BIOGRAFIA: Diego Pitea ha 45 anni e vive a Reggio Calabria, nella punta dello Stivale. Ha iniziato a scrivere a causa di un giuramento, dopo un evento doloroso: la malattia di sua madre. Il tentativo è andato bene perché il suo primo romanzo Rebus per un delitto è risultato finalista al premio “Tedeschi” della Mondadori, affermazione ribadita due anni dopo con il secondo romanzo: Qualcuno mi uccida. 
È sposato con Monica – quella del libro – e ha tre figli meravigliosi: Nano, Mollusco.


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