domenica 1 ottobre 2017

"LA RAGAZZA DI KOROS" di Nadia Toffanello



Buongiorno follower, buona domenica!
Nadia Toffanello ci parla del suo libro, "La ragazza di Koros" 😊




Titolo: La ragazza di Koros
Autore: Nadia Toffanelo

Genere: Romance

Casa editrice: Le Mezzelane Casa Editrice

Disponibile in ebook a € 4,99
e in formato cartaceo a € 12,90

Sito autore: Nadia E Le Sue Storie 






TRAMA:


Azzurra ha trent'anni e si è appena trasferita in una piccola isoletta della Grecia per vivere con da Delia, la sua migliore amica di quando era bambina. È scappata da un marito violento, da un inferno domestico durato cinque anni e un po' anche da se stessa. L'idea era quella di non morire, ma presto diventa anche quella di ricominciare a vivere. L'affetto e la vivacità dell'amica e la vita sull'isola e leniscono le sue ferite, come se il mare cicatrizzasse anche i lividi sull'anima. Tuttavia ciò che ha vissuto negli ultimi cinque anni l'ha cambiata fin nel profondo, così Azzurra decide di scrivere tutto ciò che ha passato, come se metterlo su carta possa in qualche modo permetterle di esorcizzarlo, analizzarlo, forse capirlo. Un giorno d'estate al Cafè del Mar, dove lavora Azzurra, arriva un uomo un po' all'antica, simpatico e gentile, che le fa battere nuovamente il cuore. Simone ha l'hobby della pittura e un giorno dipinge un ritratto di Azzurra che cambierà le sue prospettive. Quando il quadro viene esposto però, Azzurra capisce di essere in pericolo, e se qualcuno la riconoscesse e suo marito risalisse a lei? 
“Siamo granelli di sabbia, tanti, tantissimi e la marea a volte ci accarezza, ci sommerge e poi ci lascia andare, la vita ci calpesta, il sole ci scalda e non possiamo fare altro che vivere al meglio, cercando di goderci i momenti migliori. Di vivere mentre sopravviviamo a ciò che a volte non abbiamo scelto consapevolmente, e altre sì. Tutti diversi eppure tutte uguali lì, in quel punto nevralgico del nostro corpo che chiamiamo cuore, ma che in fondo è la nostra anima.” 




BIOGRAFIA:


Nadia Toffanello vive a Vercelli, in Piemonte, luogo dove è nata nel 1973. Ha studiato come ragioniere programmatore e perito commerciale, ha lavorato per diversi anni in studi di consulenza contabile, tuttavia la sua fervida fantasia non l'ha mai fatta sentire a suo agio fra i numeri. Fin da ragazzina amava scrivere, inventare storie, e metterle su carta. Da “grande” ha rinunciato al sogno di scrivere trovandosi diversi lavori, ha anche aperto, per un breve periodo, un negozio tutto dedicato ai gatti. Sì, perché Nadia, fra i vari progetti che ha intrapreso è stata anche un'allevatrice di Sacri di Birmania. Adora i gatti e gli animali, ha un animo sensibile e una spiccata immaginazione, spesso sogna le storie che poi mette su carta. Possiede purtroppo anche un'innata insicurezza che le ha fatto attendere molto tempo prima di trovare il coraggio di buttarsi nel mondo della scrittura in modo serio.
Nel 2016 ha vinto – parimerito – il concorso letterario “La pelle non dimentica”, con il suo racconto  “L'uomo che rubava i sogni”, indetto dalla Casa Editrice Le Mezzelane di Santa Maria Nuova, con la collaborazione dell'associazione culturale Euterpe di Jesi e dell'Associazione Artemisia di Firenze per sensibilizzare le persone verso il problema della violenza sulle donne, lo stupro e il femminicidio. Il suddetto racconto fa parte del volume “La pelle non dimentica” - racconti, edito da Le Mezzelane.
Sempre nel 2016 si è classificata prima per la seconda edizione del concorso letterario “Emozioni in tazza”,  indetto dal Blog “Le Tazzine di Yoko” con un racconto fantasy/distopico dal titolo “8”, che sarà pubblicato nella raccolta “Indissolubile”.
Nadia Toffanello ama scrivere storie di vario genere, spaziando dalla fantascienza al fantasy fino ai romanzi d'attualità, alle storie romantiche e a quelle horror; è una lettrice onnivora e un'eterna sognatrice. È sposata dal 2001 e suo marito legge tutto ciò che scrive, è un po' il suo Beta Reader.
Fra i suoi hobby, oltre a quello della lettura che l'accompagna fin da bambina, ci sono la musica e la fotografia. Adora guardare film e serie TV, e stare a casa a scrivere, e a sognare nuove storie, in compagnia dei suoi gatti.





DICE L'AUTRICE:


Io credo che per scrivere ci voglia coraggio. E per "scrivere" non intendo buttare giù qualcosa e poi tenerlo lì, in una cartella del computer su cui ogni tanto si butta l'occhio e si pensa "prima o poi ci metterò le mani e allora..." No, no io voglio dire scrivere per essere letti da qualcuno.

Proporre l'opera, che sia un racconto o un probabile libro, e sottoporlo al giudizio di eventuali lettori e di una Casa Editrice, richiede una certa sicurezza e un po' d'audacia. Scrivere significa mettere i propri sentimenti a disposizione di estranei, e non è facile, perché in tutto ciò che si scrive c'è molto dell'autore: un punto di vista, una descrizione, un personaggio, un'emozione vera. L'opera stessa secondo me è qualcosa che si crea con passione, con buona parte del cuore, spesso con tutto, qualcosa in cui si crede insomma, una parte di noi. Almeno per me è così ecco perché il giudizio esterno mi mette sempre paura, è quasi come aprire il cuore a qualcuno, mettendosi a nudo.
Ecco, ci vuole coraggio per farlo, e io quel coraggio non l'ho mai avuto. Ho sempre ritenuto di non essere all'altezza.
Da qualche tempo ho iniziato a collaborare con una cara amica per qualche traduzione e lo sghiribizzo di scrivere ha fatto capolino dai meandri del mio cervello, stuzzicandomi. Anni fa, come dicevo, buttavo giù qualche racconto, ma avevo smesso convinta che fosse solo un sogno, di quelli da lasciare ben chiusi nel cassetto di cui sopra, di quelli se poi non si realizzano ti fanno male. Sull'onda della vena creativa e con un po' di coraggio, ho partecipato al Concorso delle Casa Editrice le Mezzelane inerente la violenza sulle donne. Mi sono buttata facendo appello a tutto il coraggio che ero riuscita a racimolare e alla voglia di raccontare una storia che sentivo borbottare dentro di me.
Prima di conoscere il verdetto di pubblico e giuria, le sensazioni provate scrivendo quella storia, continuavano a girarmi in testa. Così, a caldo, ho deciso di scrivere un intero libro, raccontandomi che comunque scrivere mi faceva bene. Il che era vero, mi ha aiutata a superare gli attacchi di panico. Immergermi nella storia che scrivevo era terapeutico, un po' come nel volume lo è per la protagonista, seppure le sue vicende fossero molto lontane dalle mie, riuscivo a immedesimarmi, quasi vivendo un'altra vita. Qualcosa ci univa: la volontà di migliorare, di essere più coraggiose, e di lasciarsi le paure alle spalle. Tuttavia, in fondo al cuore, il sogno di vedere, un giorno, quel libro pubblicato iniziava a emozionarmi sempre di più e allo stesso tempo avevo paura di crederci. Approfittando dell'attimo di coraggio ho partecipato anche a un altro concorso letterario, indetto dal blog "Le Tazzine di Yoko" e il mio racconto distopico/fantascientifico è arrivato primo e presto sarà pubblicato in una raccolta.
Il coraggio è stato premiato anche per quanto riguarda il concorso della Casa Editrice Le Mezzelane e, con mia grande sorpresa, il mio racconto si è classificato al primo posto a pari merito. Pertanto ho avuto la possibilità di proporre il volume alle Mezzelane, per la pubblicazione, ovvero uno dei premi. Per me il più ambito, per dirla tutta.
Non pensavo di vincere, non pensavo che i sogni si realizzassero, ma ho imparato che a volte i sogni hanno bisogno che qualcuno creda in loro e che lo faccia attivamente e anche di un momento di audacia. Il momento della premiazione è stato entusiasmante e ho apprezzato molto che con me ci fosse mia madre, è stato bellissimo vederla orgogliosa per la sua figlia stramba e creativa. Il fatto che il pubblico e una giuria lo avessero apprezzato a tal punto mi ha fatto capire che in fondo, forse, non sono poi così malaccio come probabile autrice.







BREVI ESTRATTI:

In quel momento Delia sollevò le sopracciglia ammiccando, e, in un impeto di totale confusione mentale, pensai a Simone e al suo sorriso sbarazzino, aperto e speziato. Ecco perché sapeva tante cose di lui. Sentii qualcosa muoversi dentro di me, qualcosa di così simile alla gelosia che lo scacciai via, indignata.
«Simone? Tu e lui? Tu e Simone, quel Simone lì?»
Non ero stata chiara come avrei voluto essere.
Delia scoppiò a ridere: «Ma no! Macché! Ti avrei fatta uscire con uno con cui ho una storia? Va bene che siamo amiche, ma non allargarti eh!»
Risi e il sollievo venne a farmi visita; scacciai via anche quello.
«E chi?» chiesi imbarazzata, quasi volessi sbirciare una parte della sua vita, che lei, fino a quel momento, non aveva voluto rivelarmi.
«Hai presente Rock Hudson?» disse la mia amica cercandodi tornare seria.
Annuii incuriosita.
«Sai quel film con la Lollobrigida e Sandra Dee? Lo abbiamo visto insieme da ragazzine.»
«Torna a settembre», mormorai, senza riuscire a capire dove volesse andare a parare.
«Ecco, brava, anche lui torna a settembre. E rimane qui un mese, a volte anche un mese e mezzo!»
Delia mi tolse bruscamente lo strofinaccio dalle mani. «Basta pulire per stasera!»
«Sono contenta per te, è solo che non riesco a capire. Cioè, è una cosa strana... voglio dire, anche per te che sei strana, no, non volevo dire strana nel senso di strana... uhm, capisci?»
Lei mi diede una sorta di scherzosa frustata sul sedere,
facendo schioccare il canovaccio e interrompendo il mio
imbarazzante soliloquio. «Te l’ho detto. Torna a settembre, torna sempre. È una gran sicurezza... ma non tanto rassicurante quanto l’altra.»
«Cioè?»
«Quella che se ne va, sempre.»


Quella sera, sicuramente dopo aver confabulato con Delia,
Simone scese dalle scale del Café del Mar vestito di tutto
punto. Solitamente gli ospiti uscivano in tenute pratiche,
adatte al mare. Quella volta lui arrivò con pantaloni lunghi dal
taglio sportivo e una camicia bianca, leggermente aperta. Però non fu quello a colpirmi, ma il sorriso che mi riservò. Era così affabile, aperto e allo stesso tempo affascinante, da indurmi quasi a voltarmi indietro per controllare se alle mie spalle ci fosse un’altra donna. Una che lui conosceva magari. Oppure una meno stordita di me.


Di una cosa ero certa: la mia effimera serenità aveva vacillato
e ora se ne stava andando via, salutandomi con la mano.
Eppure ne ero persino contenta: stavo vivendo in una bolla di
sapone sospesa precariamente nell’aria e quel regalo l’aveva
fatta scoppiare, forse turbandomi, ma anche appagando quella parte di me che non smetteva mai di sognare, anche se non avrebbe dovuto.
Ero emozionata e il sordo martellio del mio cuore non poteva essere del tutto imputabile allo sforzo fisico di aver trasportato il quadro. Era qualcos’altro. Era la stessa cosa che mi diceva di aprire quella lettera: si chiamava inquietudine, eppure era la sua gemella buona. Aprii la busta. 



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