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Nuova pubblicazione per l'autrice Anonima Strega che, a distanza di un anno, torna con una nuova appassionante storia.
Titolo: Le streghe della porta accanto
Autore: Anonima Strega
Genere: Urban Fantasy - Paranormal Romance
Disponibile in ebook a € 1,99
e in formato cartaceo a € 9,90
Pagina autore: Anonima Strega
TRAMA:
La differenza di età può diventare un problema secondario,
se devi nascondere la tua natura di strega.
Quando Vanessa viene accolta nella casa di zia Miranda,
l’ultima cosa a cui pensa è l’amore, perché ha bisogno di concentrarsi su
quanto ha appena scoperto. Non è mai stata una cima, i suoi interessi sono
assai materiali, quindi dovrà sforzarsi parecchio per imparare a convivere con
la sua natura di strega. Deve maturare, così come la zia farebbe meglio a
lasciar andare il fantasma del suo antico amore. La vita della bella Miranda è
un allegro caos fatto di magie da nascondere agli abitanti del quartiere,
soprattutto a quegli affascinanti comuni mortali che si sono trasferiti nella
villetta di fronte: lo scapestrato Diego e il giudizioso figlio di lui, Manuel.
Il primo sarebbe perfetto per Miranda, il secondo per Vanessa. Peccato che,
oltre alla ‘normalità’, i due hanno un’altra caratteristica che scombina i
piani e le protezioni magiche delle streghe: Diego è attratto dalle belle
ragazze, mentre Manuel dalle donne mature...
Una fiaba allegra e moderna sull’importanza di accettarsi al
di là di difetti e differenze.
BIOGRAFIA:
ANONIMA STREGA si occupa da sempre di tematiche legate
all’occulto. Preferendo tutto quanto concerne l’universo femminile neopagano, è
di conseguenza al contempo molto romantica, anche se l’oggetto dei suoi
desideri esce spesso dalle righe, così come i personaggi delle sue storie.
Crede fermamente che gli elementi del creato siano guida e strumento, sia per
le streghe, sia per i protagonisti di avventure d’amore paranormali, come
quelli della trilogia “Le spose della notte”, della raccolta “Killer di cuori e
altri semi” e dei romanzi “Spettabile Demone”, “Il Diavolo e la Strega”,
“L’Alchimista Innominato”, “Pandemonium Road” e “Legione magica” (in
quest’ultimo ritroviamo alcuni personaggi sia di “Spettabile Demone” sia della
trilogia). Dopo l’anno sabbatico dedicato alla serie mystery della sua metà
‘non oscura’ Mia Mistràl, “In cima al cuore”, è tornata nel mondo della magia
con “Le streghe della porta accanto.” In una vita precedente ha già avuto a che
fare con i libri, ma i vaghi ricordi sono perlopiù negativi, e per libertà di
movimento si dichiara disinteressata a qualsiasi proposta editoriale. Il suo
antro è situato in un luogo nascosto, custodito da una gatta nera d’angora e
una coppia di anziani troll norvegesi. Da lì dispensa consigli magici
attraverso anonimastrega.blogspot.it
DICE L’AUTRICE:
"Dopo l'anno sabbatico dedicato alla mia metà non
oscura Mia Mistràl e la sua serie In cima al cuore, ho deciso di tornare al
fantasy come Anonima Strega, tuttavia abbandonando per una volta scenari oscuri
e orrorifici. Con Le streghe della porta accanto mi riprometto difatti di
giocare di più con l'umorismo, con la speranza di strappare qualche sorriso. Il
romanzo breve è strutturato in modo da presentare il punto di vista di ciascuno
dei quattro protagonisti in paragrafi separati all'interno di ogni capitolo, in
terza persona, mentre la cornice del prologo e dell'epilogo è dedicata a... una
gatta, in prima persona. Attenzione al felino soprattutto quando il punto di
vista non è il suo, perché niente è guidato dal caso."
PROLOGO:
Arrivò un giorno di maggio con la corriera delle diciassette
e trentacinque e portò con sé lo scompiglio.
Scese da sola al limitare del quartiere, alla fermata
davanti al numero uno del Viale delle Rose, mentre un forte vento si levava da
ponente.
La campagna soleggiata scivolava piano tra le prime villette
fiorite e le folate accompagnarono il rumore del mezzo che si allontanava
placido lungo il viale. Subito, il silenzio rimasto fu invaso dallo scoppiettio
dei tacchi e la osservai ancheggiare sul marciapiede, la borsetta agganciata
all’incavo del braccio, gli occhiali da sole che nascondevano il viso.
Io riposavo come d’abitudine sul muretto della signora
Evelina e indugiai con la zampetta tra i denti, disturbata nella mia
trentunesima azione quotidiana di toeletta.
Capii all’istante che si stavano avvicinando guai.
Non per il portamento antipatico, con quel mento sollevato e
l’andatura di chi è oltremodo sicuro di sé, quanto perché sapevo ben
riconoscere blu, verde, giallo e violetto, mentre la mia vista felina sarebbe
stata in grado di distinguere quel tailleurino rosso acceso, che sfumava
nell’arancio, solo se lei fosse stata come Miranda, la mortale non comune con
cui trascorrevo la maggior parte del mio tempo libero.
Un’ultima ventata virò sulla ragazza, portandole via il
cappello a larghe falde, e i lunghi capelli lucidi e neri, simili al mio pelo,
sfidarono per un attimo la gravità.
«Tu!» strillò, puntandomi un dito contro. Il cappello era
diventato un puntino lontano nel cielo. «Fallo tornare subito qui!»
Le feci la carità di osservarla per la bellezza di tre
secondi, poi girai il deretano e me ne andai, schifata da cotanta idiozia.
«Guarda che lo so che mi capisci» mi urlò dietro, senza
tuttavia ottenere le mie attenzioni. «Poi facciamo i conti.»
Immaginavo già la ragione per cui si trovava lì. Di sicuro
era la stessa che tanti anni addietro aveva portato Miranda da zia Gigliola, e
prima ancora Gigliola da Priscilla, e la mia amica avrebbe avuto il suo bel
daffare per domare quella ragazza, ottenendo – ci avrei scommesso un
profumatissimo pacco di croccantini appena aperto – l’esatto contrario.
Oppure no.
A quel tempo ero tigrata, forse alla terza o alla quarta
vita, Gigliola era ancora in questo mondo, e ricordo che faticò parecchio per
tenere a bada la giovane Miranda.
Mi chiedevo se ci fosse mai riuscita, visto che, al di là
degli anni, mi sembrava sempre la stessa.
Velocizzai il passo e mi intrufolai in una siepe per
tagliare la strada e arrivare prima della ragazza a casa di Miranda.
Il quartiere della Serenella si configurava come una sorta
di minuscola frazione della vicina cittadina ed era perlopiù raccolto lungo il
Viale delle Rose, che in quel periodo dell’anno mandava da ogni giardino un
profumo tanto forte che quasi sapeva di fermentato. Mi sentivo già ubriaca e
poco propensa a sopportar grane, per dirla con un eufemismo, ma Miranda mi
nutriva quotidianamente e andava avvisata.
Sgattaiolai dunque in senso letterale sul retro della nostra
casetta verde, perché sapevo che Miranda teneva sempre la porta sul retro
aperta per me; attraversai la cucina e mi fiondai sulle scale che conducevano
al piano di sopra, giacché avvertivo una terza presenza, e io sapevo bene di
chi si trattava.
Detto fatto, Miranda neanche mi vide, quando sedetti nel
vano della porta aperta.
Era tutta intenta a contemplare il grande amore della sua
vita.
Ammettevo che lui fosse davvero carino, con quei capelli
scompigliati di un bel biondo tiziano uguale al suo, soprattutto perché gli
occhioni verdi e la barba incolta lo facevano rassomigliare a un mio simile.
Peccato però che fosse morto da una quindicina d’anni e Miranda avrebbe dovuto
rispedirlo di corsa nella sua urna cineraria, prima che la tizia antipatica
suonasse il campanello.
«Miao» tentai, non troppo convinta. Invero Miranda continuò
a idolatrare il suo amore. E il fatto che lei avesse superato la quarantina,
mentre lui era dipartito quando ancora di anni non ne aveva compiuti trenta,
non rendeva l’immagine stonata. Stavano bene insieme. Lei era bellissima e
giovanile nella sua veste floreale da sacerdotessa perfetta. Era il sorriso di
lui che col tempo si era immalinconito, perché lei avrebbe dovuto infine
lasciarlo andare. Magari avrebbe potuto addirittura reincarnarsi in un gatto,
vai a sapere se gli stava negando quell’opportunità di evolversi. «Miao»
insistei allora.
«Credo che la gatta voglia dirti qualcosa» mormorò lui,
indicandomi.
«Anch’io dovrei dirti una cosa.»
La propensione all’egocentrismo di Miranda non mi sarebbe
stata d’aiuto, me lo sentivo.
«Cos’è successo?»
«Presto arriverà mia nipote, starà qui per un po’ e credo
che nei prossimi giorni non potremo vederci come al solito, di sicuro non...»
«Miranda, ma è una bellissima notizia! Starai in compagnia,
penserai meno a me, andrete a divertirvi, incontrerete nuove persone.»
«Veramente verrà qui per lo stesso motivo per cui venni io.»
«Si sono manifestati i poteri di famiglia?»
«Ancora la situazione non mi è chiara, perché mia sorella al
telefono è stata vaga e lei non se ne intende un granché, le basta che mi
occupi di Vanessa.»
«E quanti anni ha, ora, la nipotina?»
«Ventuno.»
«Così grande? L’ultima volta che l’ho vista, mi arrivava
qui.» E stese un palmo accanto ai fianchi.
«Non ricordarmelo.»
«E invece sì, devi renderti conto di tutto il tempo che è
passato e di tutto quello che hai perso. Io ti amo, e ti amerò per sempre, ma
tu stessa ultimamente mi hai detto che cominceresti a non disprezzare un uomo
un po’ noioso ma tranquillo, pantofolaio ma rassicurante, che ti faccia
compagnia, che ti aiuti nelle faccende di tutti i giorni che non riesci a
sistemare da sola con la magia, un compagno vivo.»
«Te l’ho detto solo per farti contento, perché tu insisti
così tanto.»
«Lo faccio per il tuo bene, io...»
Il campanello, come prevedibile, trillò, e la coda mi sbatté
nervosa alle spalle, prima da un lato, poi dall’altro. Odiavo il sentirmi
inutile, e Miranda non si stava impegnando ad andare avanti, né in quella
situazione, né nella sua vita in generale.
«Ignazio!» tuonò Miranda con voce perentoria. «Torna
nell’urna!»
Come la folata di vento che aveva portato quella Vanessa, un
turbine si avvolse intorno alla figura di Ignazio e lo risucchiò all’interno di
un vaso che Miranda custodiva sul comò.
La precedetti mentre si dirigeva verso le scale, con un
rapido slalom tra le sue gambe. Mi divertivo sempre un sacco a vederla
sbandare, anche se lei si arrabbiava. Rallentai solo nel salotto d’entrata al
piano di sotto, per passeggiare lungo la spalliera del divano, intanto che la
vecchia zia Gigliola, dalla foto sulla mensola del camino, mi faceva cenno con
un’occhiataccia di guardare qualcosa là fuori. Il fastidiosissimo sentore di
grane mi suggerì che non si trattava solo di Vanessa.
Corsi dunque veloce sul prato antistante alla villetta,
quando Miranda aprì la porta, e finsi di non sentire la ragazza che mi
apostrofava: «Gattaccio malefico, me la pagherai!»
«Che ti ha fatto?»
«Tutti i gatti parlano con le streghe e invece...»
«Ssshhh!»
Mi allontanai lungo il vialetto di entrata, dando poco peso
ai loro discorsi, e guardai la strada. Prima di qua e poi di là.
Niente macchine.
Via libera.
Ce n’era però una parcheggiata davanti alla casa di fronte. Nessuno
ci viveva da tantissimi anni, per cui ero curiosa di capire cosa avesse voluto
dirmi la vecchia con quell’occhiataccia dalla cornice. Sentivo dei rumori,
delle voci di uomini, e tutto quello andava ad assommarsi al fastidiosissimo
sentore di grane. La coda continuava a schizzare qua e là per il nervoso,
perché avevo il presentimento che le mie abitudini sarebbero state sconvolte da
tutti quei nuovi arrivi. Ed era chiaro, che si trattava di un altro nuovo
arrivo, visto che la porta era aperta e l’ingresso appariva pieno di scatoloni.
Non mi aizzavano a entrarci, perché erano stracolmi, non
c’era neppure un buchino in cui infilarsi, e soprattutto non sapevo a chi
appartenesse quella voce che urlava con non troppa gentilezza: «Diego!» Qualche
parolaccia sconnessa, un bell’animale umano moro sulla ventina che sbatacchiava
qualcosa sulle scatole. «Non hai fatto ancora niente?»
Lo seguii quatta quatta fra gli scatoloni, non mi notò
nemmeno sulle scale, e mi affacciai solo un pezzettino dallo stipite di una camera.
C’era un altro bell’animale umano moro, più sull’età di
Miranda, stravaccato su un materasso poggiato per terra. Neanche un lenzuolo,
tanti altri scatoloni intorno, tre bottiglie di birra vuote lì per terra.
«Non urlare!»
Il cuscino perlomeno c’era, seppur senza federa, perché il
tizio sul materasso, che doveva essere quel tal Diego, se lo era appena
piantato sulla testa.
«Ma come?» continuò invece a urlare quello più giovane. «Io
ho lavorato per tutto il giorno e tu non hai messo a posto neppure una scatola?
Guarda che entro le otto arriva il camion dei traslochi e...»
«Vai piano, vai piano!» Diego quel “piano” se lo tenne tutto
per sé, perché si sollevò in maniera così lenta che i miei occhi allenati alle
code di lucertola stentarono a decifrare il movimento. «Mi sono svegliato ora.»
«Io non ci credo.» Il ragazzo sbuffò, scuotendo il capo e
allargando le braccia, per poi lasciarle ricadere inerti lungo i fianchi;
infine cominciò a raccattare qualcosa qua e là. Le bottiglie. Dei fazzoletti di
carta. «Non posso fare tutto da me.»
«Che fretta c’è?»
«Il camion!»
«Mica se ne andranno senza aver scaricato.»
«Ma dove mettono la roba? C’è un casino di sotto...»
«Non potevi mettere a posto tu?»
«Bravo! Io sono a fare il marito in affitto da stamattina.
Ho aggiustato il lavandino di una novantenne, imbiancato il ripostiglio di
un’ottantenne, tagliato l’erba nel prato di un’altra ottantenne...»
«Tutte vedove appetibili?»
«Ora non esagerare, comunque mi pare un posto carino, le
signore sono gentili, mi hanno dato da mangiare. Mi manca solo questa qui di
fronte. Quando ho suonato, non c’era nessuno.»
«Visto che ci sei già tu a intrattenere rapporti di buon
vicinato, a cosa potrei mai servire io, se non a far danni?»
«Ecco, appunto, potevi darmi una mano almeno in casa
nostra.»
D’un tratto, il ragazzo si voltò per uscire e io mi nascosi
nel buio del corridoio.
«Manuel!» Qualcosa mi disse che, anche se il ragazzo non
tornò indietro, Diego stava chiamando lui. «Mi faresti un caffè?» E poi uno
starnuto. «Per caso è entrato qualche gatto?»
Ci mancava il comune mortale allergico al mio pelo...
Be’, per quanto litigiosi, non mi sembravano un pericolo,
perlomeno non imminente, dunque nell’occhiataccia di Gigliola doveva
nascondersi qualcosa di profondamente umano che mi sfuggiva e, in genere, le
cose profondamente umane che mi sfuggivano riguardavano sentimenti svenevoli
come quello che legava Miranda al fantasma di Ignazio.
Scesi giù per le scale, approfittando del fatto che Manuel
pareva essersi spostato in una stanza del piano di sotto. A sentire dall’odore,
si era arreso e stava preparando il caffè a Diego.
Zigzagai di nuovo tra gli scatoloni, curiosando qua e là,
poi uscii all’aria aperta per godermi gli ultimi raggi di sole della giornata.
Un sacco di cianfrusaglie abbandonato nel prato. Una moto
sotto una tettoia del giardino. Uhmmm... rumore odioso.
Non mi sentivo per niente soddisfatta.
Non solo c’erano cambiamenti in arrivo, ma sarebbe stato
indispensabile tenere le vibrisse in tensione per captare segnali nell’aria.
Quello avrebbe potuto rivelarsi divertente, da un certo
punto di vista, anche se ne avrei fatto volentieri a meno.
Ma ancora non sapevo quanto avrei dovuto faticare.
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