sabato 30 ottobre 2021

"IL PENSIERO TIBETANO" di Dejanira Bada

 

Buongiorno follower, buon sabato!
Vi segnalo "Il pensiero tibetano" dell'autrice Dejanira Bada, 
edito Giunti Editore.


Sottotitolo: Comprendere la via buddhista 
alla pace della mente

Autore: Dejanira Bada

Casa editrice: Giunti Editore 
Collana: Varia Ispirazione

Disponibile in ebook a € 11,99
E in formato cartaceo a € 18,00

Contatto Facebook: Dejanira Bada


TRAMA:

Dopo innumerevoli pellegrinaggi, anni di studio, di ricerca, di pratica, sto ancora rincorrendo l’elefante. Ma certi giorni riesco a raggiungere un diffuso senso di pace e la mente mi appare come un limpido cielo: allora mi sembra di non aver bisogno di altro.

In Tibet shiné è la pratica del Calmo dimorare, nonché il nome di un famoso di-pinto che raffigura un monaco nell’atto di inseguire un elefante nero, ovvero la sua mente. L’inseguimento consiste in nove stadi, che lo condurranno infine alla meditazione lhakthong, la pratica della visione profonda o analitica, che ha inizio con il decimo e undicesimo stadio e che gli consentirà di raggiungere l’illuminazione. 
Ci muoviamo nel testo seguendo tale sentiero. A piccoli passi sul tetto del mondo. Che cosa ci rimane del Tibet dopo il cammino? Di cosa possiamo fare tesoro? Oggi la meditazione sta entrando sempre di più nella vita di noi stressati occidentali. Ricordiamo però di portare sempre il dovuto rispetto: cerchiamo d’informarci e di non praticare solo per raggiungere obiettivi egoistici. Integrando la meditazione nella nostra quotidianità possiamo infatti ottenere benefici non solo per noi stessi, ma anche per gli altri e per il mondo.


DICE L’AUTRICE:

Dettaglio che non viene specificato dall'editore nella quarta e nel risvolto di copertina è che nel libro si parla del mio viaggio in Tibet. Ci sono stata davvero e in ogni capitolo racconto qualche passaggio. È un libro sul viaggio, sulla meditazione, che si rivolge allo stressato uomo occidentale che cerca risposte nel lontano Oriente (e che spesso le trova) ma senza bisogno di convertirsi al buddhismo o ad altre religioni. Oltre al mio viaggio in Tibet parlo anche dei viaggi in India e a Kathmandu, luoghi che si dovrebbero visitare per comprendere al meglio una cultura così lontana e diversa dalla nostra.




INTRODUZIONE:

A piccoli passi sul tetto del mondo 
L’enorme Boudha di Kathmandu è bianco e ha gli occhi azzurri. Mi guarda e mi accoglie, e quando vi cammino attorno mi comunica la sua maestosità e l’importanza di cui gode presso i fedeli. 
È uno stūpa, in tibetano chortén [mchod rten]: la sua base a forma di maṇḍala è sovrastata da una grande cupola, che secondo la tradizione sarebbe depositaria delle reliquie del Kāśyapa Buddha. Sopra di essa si stagliano la torre con gli occhi del Buddha e una struttura piramidale di tredici livelli, a simboleggiare il percorso verso l’illuminazione; ancora sopra noto il pinnacolo, il baldacchino e una guglia d’oro, mentre nel mezzo, a raggiera, innumerevoli Dar Cho [dar lcog], le famose bandiere di preghiera, diffondono pace e armonia. 
Dopo l’occupazione cinese del Tibet nel 1950, molti tibetani trovarono rifugio in Nepal e scelsero di vivere proprio intorno a Boudha. Consapevole di questo, non mi stupisco di fronte a un gruppo di pellegrini impegnato in un kora [skor ra], una circumambulazione in senso orario dell’oggetto sacro. Recitano il mantra della compassione, ovvero l’Oṃ Maṇi Padme Hūṃ, con la mala tra le dita. 
La piazza del Boudha si dirama in strette vie, ai margini delle quali i negozianti vendono campane «tibetane», statue, bandiere, tamburi, collane, bracciali, vestiti e souvenir di ogni tipo. Alcune di queste conducono nel quartiere in cui si producono e vendono i thangka [thang ka], i dipinti su stoffa della tradizione buddhista che raffigurano immagini sacre e che sono un valido supporto durante il percorso di liberazione. Vado in quella direzione. 
Sto cercando il dipinto di shiné. Me lo mostrò per la prima volta il mio amico Thonla, nato e cresciuto in Tibet ma naturalizzato milanese, durante un incontro di meditazione sul suono: quando lo vidi, qualcosa in me scattò. Meditavo da qualche anno e sentivo che quel dipinto ben raffigurava il percorso che avevo intrapreso. 
Il termine shiné viene usato per indicare da una parte la meditazione concentrativa del Calmo dimorare, śamatha, e dall’altra il dipinto dei nove stadi che il meditante deve compiere per calmare la propria mente e raggiungere la tranquillità necessaria a entrare nella meditazione vipaśyanā, in tibetano lhakthong. Nel buddhismo Chán e nello Zen lo tratteggiano servendosi delle «Dieci icone del bue» – le più note sembrano essere quelle giapponesi di Kuòān Shīyuǎn – e in effetti, nella descrizione del percorso meditativo, l’immagine del bue è ricorrente anche nei sūtra, le trascrizioni dei discorsi del Buddha. Nel buddhismo tibetano invece è l’immagine dell’elefante, unitamente a quella del suo accompagnatore, a far da protagonista. 
Nessuno conosce le origini del dipinto, e d’altronde il Tibet è costellato di misteri. Thonla dice che potrebbe essere stato commissionato dal Buddha in persona, che l’avrebbe fatto dipingere insieme alla ruota del Dharma lasciando in eredità a un monaco la sua spiegazione, che ancora oggi sarebbe tramandata a tutti gli esseri senzienti, e allo stesso modo il monaco canadese Jason Simard, del Petit Nalanda Du Centre Paramita En Haute-Marne in Francia, sostiene che il dipinto di shiné non sia riconducibile ad alcuna scuola specifica, bensì alle parole del Buddha. In effetti le varie tradizioni buddhiste appaiono oggi ben differenziate, ma nell’antichità non era affatto così: gli studenti sceglievano da chi apprendere la pratica meditativa a prescindere dalla scuola di appartenenza del maestro. 
Ricordo che fui felicissima di ritrovare dipinta sulla parete esterna di un monastero in Tibet l’immagine di quell’elefante a me così caro. Era grigio e con grandi zanne, intento a passeggiare su una distesa verde e circondato da alberi in fiore e nuvole alte nel cielo. Sulla sua schiena era seduta una scimmia marrone e sorridente, che a sua volta reggeva un coniglio grigio. Tutti e tre guardavano avanti con l’intenzione di proseguire il cammino insieme e senza fretta, agitazione e timore



Dejanira Bada Grande esperta e appassionata di filosofie orientali e meditazione, insegna yoga e mindfulness. Ha diverse pubblicazioni di narrativa alle spalle ed è giornalista pubblicista.




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