lunedì 12 luglio 2021

RECENSIONE "IL MARGINE DELLA NOTTE" di Ferdinando Salamino

 

Un'altra bella recensione per "Il Margine della Notte
di Ferdinando Salamino, edito Golem Edizioni.
A cura di S.I.




Autore: Ferdinando Salamino

Genere: Noir

Casa editrice: Golem Edizioni 

Disponibile in ebook a € 0,99
E in formato cartaceo a € 15,20 

Contatto autore: Ferdinando Salamino


Michele Sabella si è lasciato alle spalle l’Italia, un padre ergastolano e un segreto di sangue. Tutto ciò che desidera è occasione per ricominciare e quella sonnolenta cittadina delle Midlands inglesi, con il suo dipartimento di polizia in cui nessuno indaga mai su nulla, sembra il luogo perfetto per dimenticare ed essere dimenticato. Quando però Paulina Szymbova, immigrata polacca con problemi di droga, viene trovata morta nel suo appartamento con un biglietto di addio nella mano, Michele si convince che l’apparente suicidio nasconda qualcosa di più di un semplice atto di disperazione. Contro il parere dei colleghi e dei superiori, intraprende un’indagine solitaria che lo condurra oltre le tranquille e rispettabili apparenze della città, nelle sue viscere colme di odio e violenza. Mentre nel ghetto di Merchant Court giovani immigrate continuano a scomparire e a morire, Michele è costretto a domandarsi, ancora una volta, quanto sia sottile la linea che lo separa dai mostri a cui dà la caccia.

Il margine della notte riporta lo stile di qualità del primo libro del suo autore, con una trama d’orrore cucita su elementi di pura realtà: la scena del corpo morto che uccide ancora, come se fosse uno zombie, anche se i morti viventi non esistono, è la cosa che mi è rimasta di più.

Uccidiamo con la speranza e lasciamo i cadaveri a sgocciolare nell’essiccatoio del nostro disincanto. 

È solo una delle mille metafore pregevoli che abbelliscono una storia d’odio razziale, famigliare e non solo, scandita dai rubinetti che perdono liquidi rintocchi di orologio.
Vissuta da personaggi che si lasciano dietro biglietti prima di suicidarsi, testimonianze d’inchiostro di vite lavate via dal dolore di cui rimangono sul foglio del mondo tracce indistinte di qualcosa che esiste ancora, ma non ha più senso e cadaveri a cui restituire una tomba dignitosa ma soprattutto giustizia.
È ciò che prova a fare Michele Sabella, che un po’ come Frankie non si faceva illusioni su se stesso, sapeva di essere orrendo, e non se ne faceva sul mondo, che era brutto almeno quanto lui.
Troppo malato il nostro, per essere sul serio un poliziotto modello, eppure è la follia la sua estrema intelligenza, la sua virtù.
Anche Elena c’è ancora, riappare, non come la aspettavamo dopo il primo finale in Il kamikaze di cellophane; almeno io me la aspettavo in minima parte grata a Michele per il sacrificio abnorme che ha compiuto per lei e invece è ridotta a un miscuglio dolceamaro di sensi di colpa e gin con rossetto. Fossili di baci sono le tracce delle sue labbra che restano sui bicchieri.
La qualità degli intrecci e delle ambientazioni, dove il sangue tinge i tramonti - pioggia rossa, calda come un acquazzone tropicale - pareggia quelle del lavoro precedente. Qui di più c’è qualche lezione di psicologia nascosta tra le righe e ancora più canzoni inglesi tristi a far da colonna sonora a scene di felicità finta come quella cartolina che mostra una ragazza che serve drink in un bel chiosco senza accorgersi del numero di telefono di qualche speranzoso cuore solitario arrotolato tra le banconote delle sue mance. 


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