Buongiorno follower, buon venerdì!
Recensione: "Paradise Valley" dell'autrice Patrizia Ines Roggero,
primo volume autoconclusivo della serie "Shelley Saga".
A cura di AnnaLety.
Titolo: Paradise Valley
Autore: Patrizia Ines Roggero
Serie: Shelley Saga Vol. 1
Genere: Romance
Disponibile in ebook a € 2,99
E in formato cartaceo a € 16,99
TRAMA:
Quando Jonathan Shelley torna nel Montana ha un solo desiderio, dimenticare il passato e avviare un allevamento di cavalli nelle terre ereditate dal padre. Cowboy mezzosangue, sa che nulla sarà facile per lui, neppure i sentimenti che fin da subito lo legano alla bella Abigail Foster.
Una storia d'amore, una passione bruciante intrisa di gelosia e orgoglio, tra antichi rancori e nuovi conflitti, nella cornice selvaggia del West di fine Ottocento.
Cowboy, nativi americani, Montana, Yellowstone, selvaggio West, fine ‘800: l’insieme è molto allettante. Tuttavia il rischio di delusione è dietro l’angolo - non per il romanzo in sé, quanto per i gusti del lettore/della lettrice. Banale, verrebbe da dire, ogni romanzo è suscettibile ai gusti di chi legge. Faccio questa premessa perché, anche se “non fa per me”, vedo comunque del potenziale per altre lettrici. Mi spiego meglio.
Se leggete romance perché amate le storie d’amore combattute, gli spasimamenti, i contrasti, le gelosie, e se conoscere intimamente i pensieri dei personaggi vi manda in sollucchero, allora questa storia fa per voi.
Abbiamo una giovane ereditiera di un prosperoso ranch, corteggiata da tutti i giovanotti del paese, ma che non ha ancora trovato chi le fa palpitare il cuore.
Abbiamo poi un giovane mezzosangue, figlio di un uomo bianco e una nativa Lakota, costretto a lasciare in giovane età quel ranch dove era cresciuto per rifugiarsi in una riserva, e che anni dopo torna proprio in quel luogo dove era stato felice. Qui spera di trovare fortuna, ma - è chiaro - troverà anche l’amore che credeva non avrebbe più provato.
Abigail e Jonathan sembrano essere perfetti l’una per l’altro, eppure orgoglio, paura, insicurezza si metteranno di mezzo complicando la loro storia.
I personaggi che con loro dividono la scena avranno nel tempo ruoli importanti, anche se restano comunque sullo sfondo di una passione tormentata e sviscerata fino al più piccolo pensiero.
Se invece preferite un po’ di “ciccia” intorno alla storia d’amore, nonostante le quasi 650 pagine stampate di questa edizione resterete a bocca asciutta. Le promesse sono tante, forse anche troppe: il razzismo, la questione dei Nativi, le guerre, la vita in un ranch, le carestie, la giustizia (o non-giustizia) amministrata nel West, tutto condito da oscure vicende familiari. Ci si potrebbe scrivere un Via col Vento. Eppure tutto ciò appena sfiora i protagonisti, come se fossero talmente presi dal loro amore da registrare a malapena ciò che succede loro intorno. Un episodio tra tutti mi è rimasto impresso: il massacro di Wounded Knee. Jonathan arriva sul luogo della tragedia solo quando è tutto concluso, anche se l’orrore di quanto è successo è facilmente immaginabile: centinaia di nativi, inermi, trucidati dall’esercito. Solo leggere il nome di quel triste luogo mi ha provocato un brivido, e con trepidazione ho proseguito la lettura, aspettandomi la tragedia. Che non c’è. Sì, morti e feriti, sì desolazione, ma restano appena sopra la pelle, senza provocare un coinvolgimento vero e proprio.
Ho avuto la continua sensazione di accenni, come rapide toccate e fughe che si limitano a dare un’idea generale, ma senza scendere nel dettaglio: è come se l’autrice “sfruttasse” l’idea che ognuno, per forza di cose, ha in testa, e lasciasse che quest’idea prenda forma sullo sfondo, restando però sfuocata. Per esempio, io dico “c’è una mucca che pascola l’erba in un prato”; chi sta leggendo, si sarà fatto un’immagine nella propria mente di una mucca che pascola. Va bene, funziona, perché io volevo richiamare l’idea di una mucca generica, che pascola. Da un romanzo mi aspetterei però qualcosa di più, soprattutto se questa mucca ha una certa importanza nel racconto. Mi aspetterei che fosse l’autore a dirmi com’è questa mucca (è marrone, con una striscia bianca sulla pancia, ha un campanaccio al collo), cosa sta facendo (rumina l'erba con gusto); com’è il prato dove sta pascolando (rigoglioso, con un leggero pendio che digrada; ci sono fiori colorati, e insetti).
Jonathan è un nativo, ma lo sappiamo perché lo dice l’autrice, perché ha i capelli lunghi, lisci e neri, e gli occhi a mandorla. Di tutto il resto che si potrebbe dire di un nativo, non c’è nulla. Lo stesso vale per il ranch, o per il villaggio, o per tutto ciò che non è un pensiero/sentimento di uno dei due protagonisti.
Non posso dire che questo sia un difetto, anzi, potrebbe esserci chi apprezza questa scelta. Come anche non trovo che gli “spasimamenti” siano un difetto a prescindere - altrimenti non leggerei romance. Per quanto mi riguarda, avrei preferito meno pensieri e più contesto. D’altra parte è proprio il contesto che mi attira, nei romanzi storici: conoscere luoghi e tempi lontani da noi, costumi e usanze, stili di vita.
Nel complesso il romanzo mi è piaciuto “abbastanza”: abbastanza da finirlo e abbastanza da voler sapere come si sarebbe sviluppata la storia, ma ahimè “non abbastanza” da non sentirmi affaticata e “non abbastanza” da voler proseguire con la serie.
Una nota a margine: se non mi inganno con le edizioni, dovrei aver scaricato la più recente - che meriterebbe però una bella revisione delle virgole, spesso usate in modo scorretto (per esempio, tra soggetto e verbo, in numerose occasioni).
Nessun commento:
Posta un commento