martedì 22 settembre 2020

DOPPIA RECENSIONE "LA CASCIA DELLO ZUCCHERO" di Maria Samonà

 

 "La cascia dello zucchero" dell'autrice Maria Samonà, edito Entheos Edizioni, letto e commentato da Tiziana Irosa e Daniela Colaiacomo 





Autore: Maria Samonà

Genere: Saga familiare

EditoreEntheos Edizioni (seconda edizione)

Disponibile in ebook a € 3,99
E in formato cartaceo a € 16,00 



TRAMA:

Seguendo la storia della famiglia Merilli, il libro ci fa accostare a quella parte di nobiltà siciliana che arriva dai feudi e che ostenta formalismi e proprietà di comportamento, ma nasconde abitudini e costumi avvilenti per il mondo femminile.
Entrando nelle stanze delle donne, attraverso le vicissitudini di una famiglia composta da numerose femmine, questa storia ci porta a osservare il loro stato sociale, la loro educazione, i loro sentimenti, l’ignoranza che domina nei loro tentativi di esistere. Tra umorismo e drammi si dipana il libro in un periodo che va dalla fine dell’Ottocento alla fine della Seconda guerra mondiale. In quelle stanze stanno vicine donne dei due ceti sociali dominanti allora in Sicilia: nobiltà e popolino; si può dire di eguale inconsapevolezza pur se di diversa qualità della stessa. 



Come potevo non leggere questo romanzo? Io, dai siculi natali, appena ho letto la parola “cascia”, in dialetto cassa, sono stata attirata come una mosca dal miele.
Se amate le saghe familiari questo libro fa per voi. Si narrano le vicende della famiglia Merili, una famiglia nobile siciliana la cui sorte viene segnata dalle vicissitudini del tempo partendo dal primo dopoguerra fino ad arrivare allo sbarco degli americani. La vita, i desideri, gli usi e costumi di quei tempi vengono narrati in modo amabile dall’autrice. Ho amato rileggere vari modi di dire, immergermi nelle descrizioni delle vie di Palermo che ho riconosciuto come le mie tasche. Chiudendo gli occhi, potevo rivivere i fasti di quei luoghi e di quelle famiglie, immergermi negli odori e assaporare le pietanze, sentire il cicaleccio femminile nei salotti, giocare con loro a canasta e spettegolare della malcapitata di turno. È stato un viaggio di ritorno a casa, la mia Palermo, terra di contraddizioni, amore, passione e gente di cuore. Il tutto narrato in modo magistrale dall’autrice, a tratti delicata, a tratti più incisiva e cruda.
Come anticipato, la famiglia Merilli è una famiglia rispettata dai salotti della Palermo bene. Gerlando, Elisa e le loro deliziose figlie, tutte femmine, ambite dagli uomini in età da moglie del circondario per le buone maniere e la buona dote che si portano dietro. Attraverso le loro vite, si racconta la condizione delle donne dell’epoca, buone solo a rimanere in silenzio a ricamare o fare la maglia in un angolo, sfornare figli, obbedire al marito e adempiere ai doveri coniugali.
Tra le figlie della coppia Merilli (Antonietta, Annuzza, Lilla, Luisa, Serafina e Vera, mi pare che siano sei, alla fine ho perso il conto) Vera, la più piccola, sarà quella che si interrogherà sovente sul ruolo della donna e sul significato della sua esistenza sulla terra. Se arriverà o meno a dipanare la matassa non ve lo dirò, starà a voi scoprirlo.
La storia di questa famiglia mi ha emozionata, fatto sorridere, commuovere, divertire, arrabbiare e indignare. Il modo di vedere il mondo è lontano anni luce dai nostri giorni e a volte mi veniva voglia di suggerire alle ragazze Merilli come comportarsi. Pagina dopo pagina, si celebrano storie di vita, amore passione, crudeltà, ingiustizie e morte di quei tempi.
Una storia scorrevole, piacevolissima e davvero ben scritta, ma non fatevi intimorire dalle frasi in dialetto, l’autrice ha fatto un buon lavoro di note in cui si possono trovare le traduzioni dettagliate di ogni parola, detto e canzone siciliana.
Detto ciò, vi lascio con una citazione:

Le ingiustizie familiari hanno portato questo sfacelo; ci fingevamo innamorati l’uno dell’altro e invece eravamo come lupi... Come se tutto fosse dovuto.

Buona lettura 



La panca - cascia - dove anticamente veniva conservato lo zucchero attirava gli insetti che, attratti dalla sicurezza del cibo, non potevano più uscirne e morivano, sazi di dolce e privati della libertà:

“I fimmini, vu ricu iu, semu ‘na cascia ru zuccaro! E un si po’ né fuiri e nemmancu scappari [Noi femmine, ve lo dico io, siamo nella cassa dello zucchero. Non si può fuggire né scappare.]!”

Nella Sicilia agli albori del '900 vive la famiglia Merilli. Attraverso gli occhi e le vicende di Elisa, Gerlando e delle loro sei figlie femmine, l'autrice descrive con maestria luoghi e tempi in cui la donna aveva l'unico compito di presenziare il focolare domestico, assolvendo, rassegnata e senza aspettative, ai doveri coniugali dai quali non doveva trarre alcun piacere. 
Elisa, delusa dall'amore che ha vissuto da ragazza, vive in un mondo tutto suo, ha sposato Gerlando che le impone gravidanze ripetute alla ricerca del figlio maschio, "l'erede". 

"E il figlio era arrivato! Maschio, bello come il sole, biondo, occhi celesti, sano, vitale! Elisa aveva creduto di impazzire dalla gioia. Ora sì che era appagata, il suo dovere l’aveva fatto. Il cognome Merilli non si sarebbe perso!"

Il bambino adorato, Michelangelo, però, muore di morbillo, e Gerlando insiste a cercare l'erede finché, dopo alcuni aborti, nasce l'ultima femmina, Vera. La bambina, alla ricerca di affetto e considerazione, piange sempre per cui cresce all'ultimo piano insieme alle cameriere.
Gerlando, deluso, pur amando la sua famiglia di femmine belle e virtuose, non esterna i sentimenti d'affetto e, anche se in lui è presente una certa modernità di pensiero, nei suoi modi predomina l'impronta del maschio, deciso, potente, unico e indiscusso capo della famiglia: è il patrimonio genetico degli uomini nella società dell'epoca, ancora più marcato in Sicilia. 
Vera non teme il padre che in fondo l'ammira riconoscendo in lei le qualità del maschio che ha tanto desiderato, è una donna forte, ha carattere, ed è il sostegno dei genitori quando invecchiano e si ammalano mentre le sorelle Merilli si sposano.
Con una narrazione in cui i protagonisti parlano nel loro dialetto originale, Maria Samonà racconta la bella storia di questa famiglia al femminile, i drammi che affrontano, fino ad arrivare al 1944.
Personalmente, non essendo siciliana, ho letto il libro utilizzando le innumerevoli ma esaustive note e questo mi ha un po' rallentata, ma ho apprezzato molto la scelta dell'autrice. Ricorrere al linguaggio del tempo ne definisce meglio il contesto e immerge il lettore all'interno della narrazione.
È un bel libro, scritto molto bene, che mi ha avvinto fin dalle prime battute e che consiglio agli amanti delle saghe familiari.


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