venerdì 15 luglio 2022

DOPPIA RECENSIONE "NON CHIAMATEMI MATTA" di Liliana Cannavò

 

Buongiorno follower, buon venerdì! 
Nuova pubblicazione: "Non chiamatemi matta" dell'autrice Liliana Cannavò.
Dario Zizzo e Laura Altamura l'hanno letta in anteprima per noi. 



Autore: Liliana Cannavò

Genere: Romanzo contemporaneo

Casa editrice: Bonfirraro Editore

Disponibile in formato cartaceo a € 19,00
A breve anche in ebook

Contatti autore: Facebook - Instagram 



TRAMA:

Genova, giorni nostri.  
«Mamma smettila! Per la miseria può essere che qualsiasi cosa io dica o faccia, per te, anzi per tutti, io sono sempre matta? Non credi che anch'io abbia il diritto di sentirmi felice o infelice, triste o allegra, senza per questo essere considerata matta? Mi fate vivere come se avessi scritto in faccia; attenzione gente, è malata, state alla larga da lei, è pericolosa». 
Con queste parole Adelina Parodi, la giovane protagonista del romanzo, lancia il suo grido di dolore e rabbia contro chi - amici, parenti, colleghi, vicini e conoscenti, si ostina a considerarla matta solo perché i medici le hanno detto di soffrire di un disturbo dell'umore che le causa un'altalena di umori quali: euforia e tristezza. All'epoca dei fatti, aveva soli 23 anni, e non sapeva ancora che l'essere considerata matta, sarebbe diventato il tormentone della sua giovane vita. Adelina però non si arrenderà, combatterà con tutte le sue forze. Quando in alcuni momenti di sconforto le sembrerà che tutto sia davvero finito, si aggrapperà tenacemente all'amore della sua vita: Jamil Alamà, giovane studente in architettura conosciuto in Italia. Con lui vivrà una straordinaria storia d'amore ricca di sfumature coinvolgenti e passionali. Adelina sarà costretta a fare delle scelte radicali e ad affrontare nuove sfide per riacquistare ciò che ogni essere umano merita; dignità e rispetto. Nel corso della narrazione, si alterneranno personaggi singolari, momenti di allegria e fatti inattesi, e non mancheranno momenti di amore e passione, ma anche tanta ironia e buon umore.


DICE L'AUTRICE:

Ogni giorno, per motivi professionali, mi capita di raccogliere le confidenze di chi vive il dolore di avere addosso una malattia dell'anima. Sono spesso persone semplici che cercano solo cure e attenzioni. Si confidano con me e lo fanno con il cuore e senza filtri. Le persone di cui parlo sono i miei pazienti: sono loro ad avermi ispirato e suggerito la trama di questo romanzo. A volte mi sembra di aver raccolto tanti piccoli cuori rossi in peluche e di averli messi insieme dandogli un nome: Adelina Parodi. Le loro testimonianze mi hanno fatto capire come ci si sente a vivere una vita da persone etichettate matte o semplicemente derise, beffate ed emarginate dal gruppo. Non chiamatemi matta vuole essere un messaggio di forza e coraggio per tutti - con o senza disagio psicologico -. Attraverso la magia di una storia d'amore e di una raggiante protagonista, profonda e di grande spessore emotivo, con questo romanzo, mi auguro di scuotere le coscienze di chi, con troppa leggerezza ci giudica, ci offende, e ci condanna senza appello. Chi di noi non è mai stato - almeno una volta nella vita - oggetto di maldicenze, offese, o dolorose dicerie? E allora...il messaggio di Adelina è questo: tutti cadiamo, o siamo caduti almeno una volta nella vita, ma c’è chi rimane in terra continuando a lamentarsi, e chi invece nonostante i graffi e le ferite, si rialza lotta e non si arrende. Come dire, quando la vita rovescia la nostra barca e lì che dobbiamo nuotare e resistere. Il romanzo è destinato anche a tutti coloro i quali credono alla forza dell’amore romantico, ai sogni e alla possibilità di poter ricominciare sempre e comunque. Adelina purtroppo non riuscirà a cambiare la società in cui vive, sua madre e i suoi amici, ma riuscirà a cambiare se stessa e la sua vita. Il suo mantra sarà: 'Forza e coraggio sempre e comunque'. 
Leggendo Non chiamatemi matta contribuirete a combattere il pregiudizio e le maldicenze in generale.
Buona lettura a tutti.





Non chiamatemi matta è un romanzo della psicologa Liliana Cannavò ambientato a Genova, ai giorni nostri, dal tema attuale: il disturbo bipolare. A mettere in chiaro subito le cose è la stessa autrice prima dell’inizio dell’opera: 

Sei matta.
Sei matta, mi dicono!
Sei matta!
È questa la croce che mi porto addosso...
che mi strema
mi emargina
e mi logora dentro.
È quel marchio che mi inghiotte anche il respiro.
Che ha l’odore rancido dell’ignoranza.
Il sapore amaro della pena altrui.
Una fitta nebbia autunnale che aleggia attorno a me,
e che rende la mia vita, una vita triste e insopportabile.

E ancora: 

Quello che possiamo fare oggi è aprirci alla conoscenza, al sapere, accettando la malattia mentale come una qualsiasi altra malattia dell’essere umano da prevenire e curare. Se si ammalano i polmoni, il cuore, il fegato, perché non possono ammalarsi il cervello e l’anima?

Nonostante la giovane protagonista Adelina debba affrontare la condanna di parte della società, già dalla tenera età, vittima della cattiveria di qualche compagna di scuola, c’è un’apprezzabile vena umoristica, caratteristica del libro che ne mitiga l’aspra materia, si veda per esempio il prologo:

Il giorno in cui Ione nacque, sua madre scelse il suo nome sia per essere originale, sia perché temeva che in ospedale la scambiassero con le altre bambine nate lo stesso giorno. A soli dodici mesi Ione fu data in adozione alla coppia di coniugi Parodi, i quali decisero che l’avrebbero chiamata Adelina. Se è vero come sostenevano i romani che il nome di una persona è anche il suo presagio, eccole il suo servito su un piatto d’argento. Ione fa infatti rima con depressione e Adelina fa rima con adrenalina. Per i romani dunque il destino di Ione/Adelina era già stato scritto: sarebbe diventata una bipolare.

La protagonista crescendo diventa una sorta di Gian Burrasca che mette in imbarazzo i suoi familiari, anche nelle situazioni meno indicate:

Crescendo il suo temperamento era rimasto per lo più lo stesso: estroverso e talvolta anche un po’ bizzarro. Come quella volta al funerale dell’anziano zio Crispino. Pensando di fargli cosa gradita, Adelina aveva sistemato con cura dentro la tomba di quest’ultimo i reggicalze in pizzo nero che egli aveva collezionato segretamente nel corso di tutta la sua vita.

Le cose, divenuta adulta, non migliorano, anche dal punto di vista sentimentale, quando la madre di un collega, Claudio, le dice senza tante perifrasi di lasciar stare il figlio verso cui nutriva interesse, ma l’uomo la pensa diversamente, i due si amano e la scrittrice ne scrive con buona ispirazione:

Claudio le stava per promettere il futuro, quando ancora doveva nascere il loro presente. Adelina aveva paura, quel genere di paure che nelle persone più sensibili, rimangono in pianta stabile quando si è stati graffiati.

Ma il rapporto mostra le prime crepe a causa della gelosia di Claudio che lo porta ora a una dolcezza espressa con un linguaggio poetico, ora a scatti d’ira conditi con parole oscene.
In seguito conosce il marocchino Jabril, un mondo nuovo, per i costumi diversi e il ritmo della vita meno sostenuto: 

Sorrideva emozionato come se avesse davanti il suo miracolo più grande.
 
Ma anche in questo caso l’amore non è un percorso agevole, e il ragazzo è promesso sposo a una giovanissima, Hanan, rappresentata in una tenera scena:

Hanan si contorceva le mani, era rossa in viso. Di tanto in tanto ammucchiava della sabbia formando delle piccole cime che, poi, spianava subito dopo e ridacchiava imbarazzata senza replicare. Jamil allora si rese conto che le sue parole erano come parole dette al vento, ma proseguì lo stesso sperando di sbagliarsi.

La protagonista dovrà scontrarsi con un ambiente che la giudica una diversa, un’infedele, specialmente con le donne della famiglia di Jamil - I loro sorrisi erano come candele consumate… -, impegnate nella realizzazione di tappeti che, particolare curioso e insieme delizioso, narrano la loro biografia. È un libro da leggere, che ci fa riflettere sull’ingiustizia e sull’inadeguatezza di quello steccato che molte volte mettiamo tra noi e gli altri, a cui diamo il nome di “diversi".



Adelina Parodi è una paziente psichiatrica, soffre di disturbo bipolare che la condanna all’alternanza di momenti di depressione e apatia in cui dormirebbe soltanto e periodi di ipomania, di iperattività e idee stravaganti.
Adelina, però, prima di essere “malata” è un essere umano, una giovane donna con il suo sentire e il suo pensare che cerca di tenere fuori la testa dall’acqua nel caos che vive quotidianamente.
Fra diagnosi, amicizie e relazioni sbagliate, pregiudizi e stigma, ossia preconcetti sul chi “è matto”, la sua è una vita tutta in salita.
Un lavoro, una casa con le comuni commissioni da sbrigare, dei genitori e, in particolare una madre (adottiva) ossessiva e asfissiante che, con la smania di controllare la vita e la patologia di Adelina, riconduce ogni sua scelta e decisione al fatto che la giovane è mentalmente instabile.
La mamma dunque, forse per troppo amore o, più probabilmente per praticità - è più semplice concludere che un soggetto non è a posto, compatirlo anziché provare a mettersi nei suoi panni e guardare il mondo con i suoi occhi -, è colei che, in primis, le tarpa le ali.
Fra dentro e fuori da un ospedale psichiatrico, la protagonista vive una sorta di dualizzazione: Adelina la pazza e Adelina che vuol mordere la sua vita e attraversare il tunnel della malattia psichiatrica con la consapevolezza che il Signor Bipolare, a cui lei si rivolge come fosse un individuo, forse mollerà la presa ma non l'abbandonerà mai. L’ospedale è una prigione, per certi aspetti:

In quel reparto temeva tutto: di fiatare, di ridere e di piangere. L’ultima volta che era stata loro ‘ospite’ un’accesa lite con sua madre aveva determinato il rinvio della sua dimissioni, di altri cinque lunghi giorni. 

In realtà è anche luogo di incontro-confronto con altri come lei: 

Nella sua stessa stanza era stata ricoverata da qualche minuto una giovane donna, che se ne stava seduta ai bordi del letto silenziosa. La donna teneva tra le braccia un plaid rosso arrotolato, che cullava e accarezzava come se fosse un neonato.

Nota dolente che trapela chiaramente è il fatto che, per molti psichiatri (ovviamente non per tutti), i pazienti sono solo dei numeri:

A che serve dottore, se poi non mi crederà? Per voi psichiatri noi siamo solo dei matti, ossia ‘esistenze’ da curare, null’altro che questo. 

Se persone come Adelina per i medici sono oggetto di studio, per la gente che ha avuto la fortuna di non conoscere le patologie mentali, sono solo degli esagerati, degli inetti, incapaci di affrontare la vita.
In realtà il disturbo bipolare è una malattia. In fondo se si ammalano i polmoni, il cuore, il fegato, perché non possono ammalarsi il cervello e l’anima?
Adelina dà a se stessa più possibilità fino a che riesce a trovare un equilibrio con il suo peggior nemico che abita dentro di lei e di cui riconosce persino i passi quando sta per tornare. Grazie all’amore per un ragazzo di etnia e cultura diversa e al sostegno di un buon medico, ritroverà il rispetto e l’autostima per sé, ma ci vorrà coraggio a fare un grande salto per affrancarsi da sua madre e iniziare a volare libera.
Adelina impara ad attraversare la sua malattia, non a eluderla, apprende a guardarla dritta negli occhi: 

Il dolore lo si deve necessariamente attraversare se lo si vuol superare. Bisogna entrarci nel profondo, capisci? Tentare di scovarlo e guardarlo dritto nel suo buio più fitto.

Solo così potrà avere una vita quasi normale.
L’autrice è psicologa e tratteggia con penna decisa le caratteristiche della giovane, al punto che ci sembra di conoscerla.
Un buon libro che tutti dovremmo leggere in quanto c’è ancora tanta diffidenza e scarsa conoscenza delle patologie psichiatriche; mio malgrado, mi è capitato di sentire che molte persone, anche di buon livello culturale, si rifiutano di andare dallo psicologo, quasi fosse una forma di debolezza e di sconfitta.
Una lettura che inneggia al superamento delle diversità, invita all’empatia e getta un fascio di luce su argomenti presenti sui manuali medico scientifici ma poco trattati nei romanzi e nelle letture di intrattenimento.
Consigliato!





Liliana Cannavò. Di origini siciliane. Vive a Catania. Laureata in Psicologia e specializzata in Psicoterapia Familiare e Relazionale a Roma. 
Dal 2000 lavora nell'ambito della salute mentale presso una Casa di Cura per la riabilitazione psichiatrica.
Ama viaggiare, non da turista ma da "esploratrice degli animi umani". La scrittura è arrivata per caso alcuni anni fa come antistress e per combattere una frequente emicrania. 
L'Amante della Sposa, è il primo romanzo che ha tirato fuori dal cassetto dei suoi piccoli "tesori" partecipando nel 2018 alla I Edizione del concorso di scrittura dedicato al Romance: eLove Talent, lanciato da Kobo Writing Life in collaborazione con Harmony. Il romanzo è arrivato tra i primi cinque finalisti ricevendo in un secondo tempo la proposta di pubblicazione da parte di Harper Collins Italia, collana eLit Romance, oltre ad un contratto di edizione con la stessa Casa Editrice e per la medesima collana.


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