Buongiorno follower, buon sabato!
Vi segnalo "L'affaire dei veleni" dell'autore Francesco Gioia, edito Libromania. Un thriller storico ambientato nella Parigi di Luigi XIV, nella seconda metà del seicento, che trae le mosse da avvenimenti torbidi
realmente accaduti e che coinvolsero eminenti personaggi della nobiltà parigina
fino a sfiorare lo stesso Re Sole.
Il romanzo è stato fra i 10 scelti per la pubblicazione dal
concorso "Fai viaggiare la tua storia" 2019, organizzato da Autogrill,
Libromania, Dea Planeta Libri e Newton Compton.
Titolo: L'affaire dei veleni
Autore: Francesco Gioia
Genere: Thriller storico
Casa editrice: Libromania
Disponibile in ebook a € 3,99
Book-trailer:
TRAMA:
Parigi, 1672. Uno scoppio rimbomba nell’aria proprio mentre
il luogotenente generale di Polizia Gabriel-Nicolas de la Reynie si trova
nell’albergo in cui risiede Jean Baptiste Gaudine de Saint-Croix per indagare
sul suo conto. Una volta fatta irruzione nella camera di quest’ultimo, ne
rinviene il cadavere immerso nelle esalazioni di sostanze sospette, sicuramente
velenose. Tra i suoi effetti personali trova un plico contenente trentaquattro
lettere scrittegli dalla marchesa di Brinvilliers e delle compresse di
arsenico.
Eugéne Malpart, collaboratore di Reynie, indaga sulla
provenienza del veleno: a fornirlo è stata la farmacista Cristophe Gleser; dopo
un lungo interrogatorio, scopre che la donna oltre ad essere una delle amanti
di Saint-Croix, gli avrebbe fatto ottenere senza alcuna prescrizione delle
pastiglie di arsenico. È evidente che qualcuno ha paura, ci sono dei fatti che
vanno assolutamente tenuti nascosti. Un alone di mistero e perversione sembra
aleggiare attorno all’alta società parigina. Quale sarà il segreto da custodire
a costo della vita?
BIOGRAFIA:
Sono stato fra i 10 vincitori del concorso «Fai viaggiare la
tua storia 2019» indetto da Libromania (Newton Compton/DeA Planeta Libri) e
Autogrill, con il romanzo «L’affaire dei veleni».
Lavoro in un’importante banca italiana e mi sono laureato
all’Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano.
Sin dal ginnasio, ma vorrei dire sin dalle scuole
elementari, ho sempre manifestato una particolare predisposizione per la
scrittura, la lettura e la storia.
Esiste un aneddoto che mi piace ricordare.
Da ragazzino, mentre divoravo romanzi su romanzi, mi
capitava a volte di chiedere a mio padre un quaderno per «buttarmi a scrivere»
e far rivivere i personaggi, con nomi e contesti diversi, dei libri che avevo
appena lasciato. Una volta, incontrai il disappunto bonario del mio genitore,
che mi suggeriva, piuttosto che scrivere romanzi, di concentrarmi su testi
scolastici di Storia o di Matematica.
Il primo suggerimento lo seguii sempre, mantenendo viva
quella passione che, sapevo, prima o poi avrei ripreso a coccolare.
DICE L’AUTORE:
L'idea mi è nata leggendo una biografia di Luigi XIV, il re
Sole e sono stato immediatamente rapito dagli accadimenti passati alla storia
come «affaire dei veleni». Nella vicenda risultarono coinvolti esponenti di
spicco della nobiltà parigine, legati anche direttamente alla corte del re, e
altri personaggi di secondo piano. Fu uno scandalo notevole per i tempi
(seconda metà del '600).
In circa tre mesi - da ottobre a dicembre dell'anno scorso -
mi sentii così ispirato da questa storia
da realizzare un romanzo, in un tempo, quindi, mediamente abbastanza breve per
scrivere un libro. Feci in tempo anche a inviarlo alla redazione di FAI
VIAGGIARE LA TUA STORIA, concorso nazionale indetto da Libromania, Autogrill e
Dea Palaneta. Ad aprile di quest'anno ricevetti la telefonata che mi comunicava
che il libro era tra il novero dei prescelti per la pubblicazione. Ho avuto
anche il piacere di partecipare alla cerimonia di premiazione presso il Circolo
dei Lettori di Torino (dove parteciparono, fra gli altri, Raffaello Avanzini
della Newton Compton e altri esponenti delle case editrici organizzatrici
dell'evento, con la partecipazione straordinaria anche dello scrittore Matteo
Strukul).
E' la mia seconda pubblicazione, la prima - «Uno spiraglio
nelle tenebre» - l'avevo pubblicata a marzo del corrente anno grazie a una
piccola ma molto seria CE di Varese, Il Vento Antico Edizioni.
Amo leggere e scrivere e mi appassionano in modo particolare
le vicende storiche.
BREVE ESTRATTO:
Parigi, sera del 31 luglio 1672
L’albergatore della pensione «Abati di Fecamp» aveva chiesto
aiuto, dopo aver udito lo scoppio. Era uscito dallo stabile in rue Hautefeuille
5 in zona place Maubert, gridando a squarciagola.
Da qualche tempo, il quarantasettenne funzionario di
polizia, Gabriel-Nicolas de la Reynie, aveva messo la pensione sotto stretta
sorveglianza. Era giunto con i suoi uomini ben prima dei vigili del fuoco, in
quanto più vicini all’albergo al momento della deflagrazione.
Gabriel aveva organizzato una formidabile squadra di
collaboratori da quando, nel 1667, il potente ministro delle Finanze, Jean
Baptiste Colbert, gli aveva affidato la carica di luogotenente generale di
polizia.
La squadra era costituita per la maggior parte da
fedelissimi, che aveva condotto con sé da Angouleme e da Bordeaux, dove aveva
ricoperto il ruolo di magistrato. Uno di questi, Eugene Malpart, gli aveva
segnalato che l’uomo che stavano ricercando alloggiava agli «Abati di Fecamp».
La soddisfazione di aver rintracciato l’ex ufficiale di
cavalleria, Jean Baptiste Gaudine de Saint-Croix, fece andare Gabriel in brodo
di giuggiole. Sentì vicino il momento in cui avrebbe avuto finalmente fra le
mani quell’ex militare dal passato torbido. Gli avrebbe posto alcune domande,
alle quali avrebbe dovuto rispondere, in un modo o nell’altro.
«Aprite, in nome del re».
L’intimazione della guardia risuonò davanti alla porta
numero 13, al primo piano dell’albergo.
Erano in quattro, armati e nervosi. Reynie, dietro di loro,
attendeva avvolto nel suo abito scuro.
Seguirono secondi di silenzio, durante i quali il luogotenente
estrasse dalla tasca il prezioso orologio che Huygens in persona gli aveva
regalato. Andava fiero sia dell’amico inventore che dell’oggetto, che
considerava una sorta di reliquia. Lo guardò, soffermandosi sul quadrante
ovale.
«Entrate», disse poi, con voce ferma.
Due dei quattro agenti iniziarono a sfondare la porta,
utilizzando un grosso bastone di ferro, mentre gli altri restavano un po’
defilati.
L’uscio non oppose particolare resistenza. A causa dei
colpi, si formarono degli squarci sempre più grandi sulla superficie in legno,
da cui iniziò a fuoriuscire un fumo poco denso, ma che indusse gli uomini a
fermarsi, per tossire.
«Copritevi la bocca e il naso», urlò Reynie.
Senza esitare, si spinse in avanti, facendo segno agli
uomini di stare lontani dalla porta.
La sostanza, simile a vapore, non poteva giustificare un
malessere così immediato, pensò. Era un miasma strano, con un odore acre che
aggrediva i polmoni.
Non stette a riflettere a lungo. Si coprì naso e bocca con
il colletto della camicia e irruppe da solo nella stanza, dopo aver dato un
ultimo violento calcio a ciò che restava dell’uscio.
Appena entrato si fermò, per osservare l’ambiente. Non
c’erano fiamme, nonostante lo scoppio, ma solo roba che si era accatastata alla
rinfusa per via dello spostamento d’aria.
Corse verso la finestra, spalancandola e facendo sbattere
con violenza gli stipiti contro le pareti. Un attimo dopo, si piegò in preda a
un accesso di tosse.
Gli uomini entrarono, non appena l’odore acido iniziò ad
affievolirsi, grazie alla finestra aperta da cui il fumo defluiva,
disperdendosi all’esterno.
Raggiunsero il luogotenente per portargli soccorso, ma non
ce ne fu bisogno. Con il ripulirsi dell’aria, Gabriel aveva ripreso a respirare
in modo normale, riassumendo la posizione eretta.
Si accorse che l’origine dell’esalazione proveniva da un
angolo della stanza. Avendo scorto una brocca d’acqua, trovatasi lì per puro
caso, ne svuotò il contenuto in una specie di grossa bacinella, da cui, in modo
sempre più lieve, fuoriusciva la sostanza gassosa. Il contatto con il liquido
fece friggere il contenitore, creando una nuvoletta di vapore, che risultò
innocua. Reynie sospettò che si trattasse di arsenico, detto anche polvere di
successione, così chiamato per via delle vittime che mieteva in diverse corti
europee.
Gabriel e i suoi iniziarono a smuovere mobili, tavolini,
suppellettili e tutto ciò che attirasse la loro attenzione, scaraventando per
terra sedie e oggetti vari che facevano da intralcio. I cassetti, invece,
venivano ispezionati con cura.
Durante la perquisizione, il funzionario di polizia fu
attratto da una massa informe, sopra la quale si erano depositate cose in
maniera confusa. Era distesa dietro un tavolo, accanto proprio al raccoglitore
da dove era fuoriuscito il fumo. Si sorprese di non averla notata prima, con
ogni probabilità perché la tosse gli aveva offuscata la vista, seppur per
qualche momento.
Si rese conto che era un corpo, riverso per terra. Alcuni
pezzetti di vetro, a causa dell’esplosione, si erano conficcati sul viso,
sfigurandolo. Si piegò su di esso, tastandone le vesti e recuperando i
documenti.
Era quello che temeva. L’uomo riverso sul pavimento era
Saint-Croix.
Ebbe un moto di stizza, sbattendo i documenti sul morto,
come se volesse rimproverargli di non essere rimasto vivo. Quella morte gli
rovinava i piani investigativi.
Nel raccogliere i pezzi di vetro, capì che facevano parte di
una maschera, una di quelle a cui ricorrevano gli alchimisti per proteggersi il
viso.
L’esperimento era risultato fatale per Saint-Croix. Qualcosa
aveva provocato la rottura del vetro di protezione, consentendo al micidiale
veleno di compiere la sua missione di morte.
«Avete trovato qualcosa?», gridò Reynie, coprendo i rumori
dei passi e delle cose che venivano sbattute.
Non rispose nessuno.
«Allora?», ripeté, con impazienza.
«Niente che possa avere davvero importanza», rispose la
guardia più anziana.
Il luogotenente si accingeva a dare le disposizioni per la
messa in stato di sequestro della stanza. Ciò avrebbe impedito l’accesso agli
intrusi e avrebbe mantenuto inalterato l’ambiente per possibili futuri e più
accurati sopralluoghi. Proprio in quel momento, vide una guardia muoversi con
decisione verso di lui. Recava con sé un cofanetto, chiuso da un lucchetto.
Gli occhi di Gabriel si illuminarono.
Tolse l’oggetto dalle mani del poliziotto, come un rapace
che ghermisca la preda.
«Dove l’hai trovato?»
«Era all’interno di un armadietto».
«Bravo», non riuscì a trattenersi, lodandolo per il
ritrovamento.
Era ciò in cui sperava. Con la morte di Saint-Croix,
quell’oggetto avrebbe rappresentato, ne era certo, un fondamentale supporto per
provare a indirizzare le indagini.
Poggiò il cofanetto su un tavolino e ne divelse il
lucchetto, aiutandosi con un coltello. L’aprì con circospezione, dopo aver
indossato i guanti.
Le sue cautele si dimostrarono fondate, poiché all’interno
rinvenne dei resti di arsenico e di sublimato, altra potente sostanza venefica.
Ma quel che gli fece brillare gli occhi fu la vista di un pacchetto, tenuto
insieme da un fiocco elegante, che conteneva trentaquattro lettere, come appurò
dopo averle contate per due volte.
«Sì, ci siamo», mormorò, prima di allontanarsi, mentre le
guardie assolvevano alle formalità di rito, informando l’albergatore sulle
incombenze a cui avrebbe dovuto attenersi in conseguenza del sequestro della
camera 13.
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