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Recensione: "La scelta di Artemisia" dell'autrice Guja Boriani,
prequel autoconclusivo di "Ladra di mamme".
A cura di Dario Zizzo.
Autore: Guja Boriani
Genere: Narrativa
Disponibile in ebook a € 2,99
E in formato cartaceo a € 15,60
TRAMA:
Prima dell’azione, c’è il sogno
Artemisia, casalinga degli anni Sessanta, non è propensa a formare una famiglia. Ama invece dipingere e scalare le montagne della Valle d’Aosta, perché solo lì si sente libera dalle richieste insistenti del marito, che desidera assolutamente un figlio, e dalle imposizioni della madre, che vorrebbe fare di lei una donna tutta casa e famiglia.
Quando le viene offerta la possibilità di partecipare, con un centinaio di altre alpiniste, a una scalata sul Monte Rosa all’insegna dell’emancipazione femminile, accetta con entusiasmo.
Il suo obiettivo è inseguire il suo sogno, trasformalo in azione, per capire cosa vuole davvero dalla vita, ma un incidente durante l’epica scalata le fa rivalutare la sua esistenza.
Artemisia sceglierà la libertà o si adeguerà alle aspettative degli altri? Un dilemma che la accompagnerà in un finale imprevedibile e toccante.
Questo romanzo storico e di avventura è il prequel di Ladra di mamme, ma la storia è autoconclusiva e può essere letta anche senza conoscere il primo romanzo della serie.
La scelta di Artemisia (Le spirali Vol. 2) di Guja Boriani è il prequel di Ladra di mamme. Si tratta di un romanzo autoconclusivo in cui ogni capitolo si chiude con una massima; il primo si apre con la descrizione di uno degli atti più potenti che è dato a un essere umano, quello di creare un’opera letteraria ed è l’autrice a ritrarsi, quasi in un autoritratto:
La penna picchietta sul blocco di carta che tengo sempre vicino a me per raccogliere idee volanti. Accendo la lampada da tavolo, che avvolge di luce calda il PC, e i pensieri gironzolano come polverina sotto al riflettore. La Cosa, come la chiamo io, che mi aveva inquietata per anni, è stata di ispirazione. Le avevo dato solo una sbirciatina dentro al baule al termine dell’altro libro, ma ormai l’ho spacchettata. Dentro c’è un vero tesoro: piastrelle dipinte, diari, fotografie di mia mamma.
Abbiamo parlato di autoritratto, termine azzeccato visto che il personaggio principale è Artemisia, pittrice della domenica, come la più famosa omonima che di cognome faceva Gentileschi, la prima pittrice, spirito ribelle che sfidò, a caro prezzo, nel seicento, le convenzioni. Di quest’ultima l’Artemisia della Boriani ha l’amore per l’indipendenza, che la spinge ad assecondare la passione per la montagna. Questa la porterà a una sfida così ardua da far vacillare le sue certezze, la scalata del Monte Rosa assieme a un centinaio di donne, in barba alla madre che (erano gli anni Sessanta) vorrebbe per lei una vita “tranquilla”, come direbbe Tricarico; e sono davvero gustose le pagine in cui si parla di questo rapporto madre-figlia non semplice, molto simile a un continuo duello in cui i contendenti tirano ora di fioretto, ora di sciabola:
Da lì sentì la madre domandare con voce molto alta: «Abbiamo qualcuno in arrivo?» Artemisia ricomparve stritolando lo straccio che teneva in mano come se fosse il collo della sua adorata mammina. Arturo nascose il viso dietro a un lungo sorso di Bonarda. Poggiato il bicchiere sul tavolo, scosse il capo e aggrottò le sopracciglia, lasciando intendere che non si trattava di un bebè.
Anche la liaison col marito Arturo, per lei Artù, non è immune da qualche attrito, che essenzialmente si riduce a una divergenza di idee sull’avere o meno un figlio, perché si tratta di un rapporto cementificato, di una coppia che, pur nelle fisiologiche divergenze, è una unione perfetta, come traspare da queste parole della protagonista:
Chissà cosa starà facendo Arturo, se mi penserà. Magari anche lui sta guardando quella stella e lei rimanda la sua luce a me.
Artemisia è un personaggio ben caratterizzato, sia nella sua forza, che nelle sue fragilità, capaci di farcela amare di più, come il suo vezzo d’interrogare una cartomante che la chiama “bambina”:
La vecchia scostò un ciuffo di capelli crespi dal viso, ma quelli ricaddero al loro posto. Rimescolò le carte con un’espressione da capo Sioux, le rughe profonde della fronte che si confondevano nella penombra.
Suggestive le descrizioni della montagna, come quella fatta da Giovanni Gnifetti, un famoso prete-alpinista realmente esistito:
Il ghiacciaio d’Indren era magnificamente innevato, a tratti diventava ripido, come un baluardo scaglioso e ispido, a volte orrido, per le innumerevoli fenditure cerulee e cavernose, sotto le quali sembrava che tutto gemesse per scomporre la montagna. La neve era fresca e leggera, come scesa attraverso un immenso colino a maglie fitte.
Lo stile dell’opera è asciutto; piacevole risulta il ricorso di tanto in tanto al dialetto.