Buon pomeriggio amici lettori!
Segnalazione: "A spasso con Brighton" dell'autore Haven Francis,
edito Harmony Ink Press, tradotto da Andrea Balasini.
Titolo: A spasso con Brighton
Titolo originale: Riding with Brighton
Autore: Haven Francis
Casa editrice: Harmony Ink Press
Traduttore: Andrea Balasini
Disponibile in ebook a € 5,92
TRAMA:
Nella cittadina di Spring Valley, è difficile rompere gli schemi, e Jay Hall, studente dell’ultimo anno delle superiori, vive la bella vita da atleta popolare fin dall’adolescenza. Se non fosse per Brighton Bello-Adler, un’anomalia artistica, sfacciata e colorata, continuerebbe a vivere così, ma nel riconoscere la strana attrazione che prova per Brighton, Jay capisce che ha bisogno di qualcosa da lui. È pronto a scoprire cos’è?
Abbandonando per un po’ il suo tran-tran, Jay sale sulla Bronco di Brighton e si lascia trascinare in una gita attraverso parti della città che non sapeva nemmeno che esistessero. Quando quel viaggio compie una svolta inattesa, Jay è costretto ad aprirsi, rivelando a Brighton un ragazzo che gli fa battere il cuore.
Sembrano finalmente diretti al loro angolo di paradiso, ma un’altra svolta li porta su un tratto di strada che per Jay implica un enorme cambiamento. I due ragazzi intraprendono un viaggio verso la crescita, la scoperta e la rivelazione di se stessi, la ricerca di un proprio posto nel mondo, il superamento delle etichette. È un viaggio che a volte spezza il cuore e a volte rinfranca l’animo, che sa essere buffo e dolce, ma si mantiene unico e intimo.
DICE L'AUTRICE:
Su "A spasso con Brighton" ho solo un paio di considerazioni. E' il libro che, se ce l'avessi avuto per le mani a sedici anni quando non ero neanche consapevole che esistesse la possibilità che due ragazzi potessero innamorarsi l'uno dell'altro, probabilmente mi avrebbe cambiato la vita. Ed è forse, per molti versi, una favoletta irrealistica, ma è la favola che noi tutti inguaribili romantici avremmo sognato di vivere.
BREVE ESTRATTO:
Non ho guardato per nulla la strada, così quando il furgone si ferma e vedo che siamo al fiume, mi chiedo come diamine ci siamo arrivati. “Cos'è questo posto?”
“Il nostro tavolo, direi”. Prende la borsa da asporto e apre la portiera. Scendo, e lo seguo fino alla riva. “Adoro questo posto” dice, mettendosi comodo sulla sabbia ed estraendo i contenitori di polistirolo che contengono i nostri panini e le patatine.
Rilassato accanto a lui, guardo l'acqua familiare che mi scorre davanti. “Anche io adoro questo posto”.
“Non sei cresciuto in città?”
“In campagna, in realtà”. Prendo il mio hamburger, e do un morso. “Porca puttana, ma è fantastico!”
“Te l'avevo detto”. Metà dell'hamburger di Brighton è già un ricordo. “Posso immaginarmi la scena... tu un ragazzo di campagna”.
Sorrido all'idea. Non mi sono mai trovato bene a vivere a Folsom Hills. È una comunità con la security ai cancelli, dieci chilometri fuori città, e si respira un'atmosfera particolare, a cui i miei polmoni non si sono mai abituati. Mi manca la campagna. “Quel terreno laggiù” - indico l'altro lato del fiume - “era parte della nostra proprietà. Ho passato gran parte della mia vita su questo fiume”.
Avverto gli occhi di Brighton che mi fissano, ma non posso girarmi a guardarlo. Oggi mi sento come se avessi gli ormoni di una ragazzina adolescente, e percepisco concretamente delle lacrime che tentano di farsi strada.
“E come cavolo sei finito dove stai adesso?”
Scrollo le spalle e do un altro morso all'hamburger prima di rispondere. “Papà ha venduto i nostri venti acri a dei costruttori, e coi soldi ha comprato la casa dove abitiamo ora. Non so cosa gli sia venuto in mente. Quello che avevamo era così tanto meglio di quello che abbiamo ora”. Mi torna in mente il commento sulla maglietta che Brighton ha fatto prima, e prima che possa rispondere aggiungo “so cosa stai pensando: sono un ricco ragazzino viziato che non apprezza ciò che ha”.
“No, assolutamente. Sto pensando a quanto dev'essere brutto passare da quello” - e stende le braccia a indicare tutto quello che c'è al di là del fiume - “da tutto quello spazio, quella terra, quella libertà, alla periferia di una città. Cioè, questo è un paradiso. Non importa quanto possa essere bella la tua casa, senza questa vastità e senza aria aperta qualunque cosa è un passo indietro. Almeno, per me”.
Sorrido. Capisce. Nessun altro lo fa. “Esattamente”.
“Bè, il bicchiere mezzo pieno è che non l'hai persa per sempre. Puoi venire qui quando vuoi, e respirare la stessa aria in cui sei cresciuto”.
“Già. Dovrei farlo. Non sono mai tornato qui da quando ci siamo trasferiti”.
E' silenzioso. Con la coda dell'occhio lo vedo annuire lentamente. “E quale pensi che sia il motivo?”
“Non lo so... immagino non mi sia mai venuto in mente. E poi, a che scopo? Tutto quello che otterrei è di incazzarmi”.
“E' quello l'effetto che essere qui ti sta facendo? Sei incazzato?”
Chiudo gli occhi, inspiro profondamente, assaporando il momento. “No, per nulla. Sto veramente bene, in realtà”.
Quando riapro gli occhi, Brighton è sdraiato con la schiena sulla sabbia, le mani dietro la testa, gli occhi chiusi per ripararsi dal sole. Mi do il permesso di guardarlo per bene. Più di tutto sto guardando le sue labbra, rosse e carnose; quelle con cui ha baciato Josie. Ho sempre pensato che la cosa più attraente del suo viso fossero gli occhi verdi, che ora so che ha preso da Max, e il contrasto che fanno con i capelli, le sopracciglia e le ciglia scure, e la pelle chiara, che ora so che ha preso da Mickey. Ma cazzo, ha anche delle belle labbra.
“Lo capisco”, dice, e io non ho la più pallida idea di cosa stia parlando. Ho paura che apra gli occhi e si accorga che lo sto ammirando, così mi sdraio, chiudo gli occhi, e aspetto che vada avanti.
“Quando ero in quarta elementare, caddi dallo skateboard e mi aprii il mento. Dovetti andare in ospedale, e mi misero dei punti. Dopo quell'episodio rimasi terrorizzato di qualunque cosa avesse le ruote. Fu un inizio d'estate di merda. Guardavo i miei amici sulle loro bici e sulle loro tavole, e tutto quello a cui riuscivo a pensare era a quanto male facesse dopo la caduta e che posto da brividi fosse quell'ospedale, e mi preoccupavo per loro perché potevano cadere e farsi male.
Poi un giorno mio padre ne ebbe abbastanza. Mi mise addosso tutte le protezioni che riuscì a trovare. Una volta che ebbe finito, sembravo un piccolo robot.” Fa una pausa e si mette a ridere, e sorrido anche io, immaginandomelo da ragazzino, coperto di plastica e rigido come un baccalà. “Andare sullo skateboard con tutto quell'armamentario addosso rendeva la cosa cento volte più difficile, e i miei amici mi prendevano in giro, ma ce la feci. Ritornai sulla tavola ed affrontai le mie paure, e fu come avere il mio raggio di sole personale per il resto dell'estate.
Poco a poco lasciai da parte le protezioni, e passai ore su quella tavola, perché la apprezzai molto di più dopo non averla avuta. Ci andai tutti i giorni, finché non cadde la neve, e anche allora cominciai a provare nuove acrobazie nel garage. Quell'anno partecipai ai campionati 3rd Lair, e quelli furono alcuni tra i momenti più belli della mia vita”.
“Quindi il fiume è il mio skateboard, e tu sei la mia protezione?”
Ride. “Può essere”.
Una viaggiatrice sempre in fuga dalla realtà, la scrittura è la versione adulta responsabile di Haven di salire in macchina e guidare senza scopo. La lettura e la musica sono secondi vicini. Lei e suo marito si trovano spesso ad ascoltare le loro band preferite a livello locale o ad affrontare a centinaia di miglia di viaggi on the road.
Haven una volta si guadagnava da vivere scrivendo sulle tendenze dell'interior design, ma apprezza molto il fatto che le persone, a differenza dei mobili, possano innamorarsi, e si appassiona particolarmente alle persone che cadono disperatamente in amori difficili e proibiti. Haven lavora anche come grafica, ma considera l'essere madre il suo mestiere, titolo e professione più importante.
Non fa mistero di essere irrazionalmente affascinata dal periodo della vita che si colloca goffamente tra l'infanzia e l'età adulta; gli anni in cui nulla è certo, si commettono molti errori, innamorarsi è inevitabile e ritrovare se stessi è una lotta. Per lei è un posto divertente in cui rifugiarsi e spera che i suoi lettori siano d'accordo.
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