Buongiorno follower, buon inizio settimana!
Il lunedì è un po' drastica per tutti, ma ce la possiamo fare, dai. Meglio ancora se in compagnia di un buon libro... 😉
Davide Uria ci parla di "Trame d'assenza", la sua raccolta di poesie 😊
Titolo: Trame d'assenza
Autore: Davide Uria
Casa editrice: Augh! Edizioni
Collana:
Nuvole
Genere:
Poesie
Disponibile in formato cartaceo a € 9,90
Pagina autore: Davide Uria
TRAMA:
Trame
d’assenza di Davide Uria è la narrazione in versi di un perdersi e di un
ritrovarsi continuamente. È la storia di ogni lettore che riesce a
immedesimarsi emotivamente nei luoghi interiori del poeta, profeta di se stesso
e di tutto quello che accade nell’animo umano. Dagli abissi tenebrosi del
dolore alla luce salvifica della vita: è il percorso di un riscatto che fa
delle parole la propria guida, è lo svelamento dell’inconscio nel mistero
sorprendente del pathos.
BIOGRAFIA:
Davide
Uria è nato nel 1987 a Trani. Si è laureato in Pittura presso l’Accademia di
Belle Arti di Bari. Nel 2005 si è classificato al terzo posto nella categoria
Giovani del Concorso Nazionale di Poesia “Segni d’appartenenza”. Ha collaborato
con l’ufficio stampa del Mart di Rovereto (TN) e come cultore della materia
presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Scrive e realizza illustrazioni.
Trame d’assenza è la sua prima pubblicazione.
PREFAZIONE:
In
questa silloge di esordio, Trame d’assenza, Davide Uria si rivela come il poeta
dell’abbandono, della nostalgia, della lotta interiore. La sua poesia ci
trasmette la coscienza dell’esistere attraverso uno stile elegiaco, intimo e
conflittuale a un tempo. Nei versi che aprono la raccolta, e precisamente nella
poesia Preludio, il giovane poeta ci spiega la sua poetica e il significato
celato nelle sue parole, dense e simboliche, scavatrici di abissi e fautrici di
incendi alimentati da un vento medianico. Il senso della fine, la percezione
dell’ineluttabile, la disperazione che cerca la salvezza e una via d’uscita da
un’impasse dolorosa sono i temi portanti dell’intero poemetto. La ricerca
amletica di una soluzione risiede nel tentativo di immedesimarsi nella natura
circostante, specchio di stati d’animo emozionali per trovare una cura
“poetica” alle ferite di un passato tormentato e riscoprire quindi la luce che
risiede dentro di sé.
Uria
trae ispirazione da tutto ciò che lo circonda ma in modo particolare dagli
elementi naturali: il mare, la luna, il vento, la neve, la grandine. Tutto
contribuisce ad alimentare la sua arte legata a effigi di profonda bellezza, a
nutrire le sue parole, dense di sensazioni ed emozioni a volte struggenti, a
volte ferrigne. Non manca infatti l’asprezza, la rabbia intrisa di malinconia,
la sensazione di una forza superiore che può arrivare imprevedibilmente sul
nostro cammino a volte a consolare, a volte anche a insinuarsi come un veleno
di insofferenza, nell’impossibilità di un riscatto agognato. Il paesaggio
descritto in alcuni casi è quasi
l’emblema di un paradiso perduto, il microcosmo di una primigenia
felicità/passione che lo ha abbandonato a se stesso. Ecco che le ferite
riemergono come punte di un iceberg in un oceano di silenzio – sul bianco della
pagina nascono frammenti di inchiostro, echi di assenze – e il poeta si
sorprende degli inganni della memoria, nella consapevolezza di un doloroso
passato che dovrebbe volare via, nella stessa misura in cui il vento ci sfiora per
poi passare oltre. Eppure, come tutti i poeti sanno, non ci si può esimere
dall’incontro con la sofferenza, perché questa emozione, al di là della sua
accezione negativa, può rivelarci la sensazione di essere vivi hic et nunc,
unica verità fruibile nella molteplicità dei segni. Distrattamente si perde un
equilibrio, ferocemente si perde un amore e nei labirinti mentali che
imprigionano, ecco che si cercano le porte interiori per giungere a una
salvezza che, nel caso specifico di Uria, avviene attraverso la poesia. La
passione amorosa è simbolicamente angelo e demone, è presenza e assenza nelle
melodiose note cantate dal poeta che, come Catullo, odia e ama a un tempo. Ma
quello che ci stupisce è la forza con cui la parola nata dal silenzio rapisce
l’autore e non viceversa: “Ho fatto tesoro di parole mai pronunciate / in loro
trovo riparo, conforto”. Uria risponde al suo istinto di versificatore, le
parole sgorgano come acqua di sorgente, non possono fermarsi, l’obiettivo è la
vita. L’artefice è sempre innamorato della parola, è preda della sua indole
poetica e cade nella purezza del sentire. Tra confessioni e sussurri, sospiri
di morte e grida piene di vita, si fa strada il senso di una lacerazione
costante, come nella poesia Creatura. In questi versi inquietanti, che ci
svelano un sublime intravisto e afferrato negli abissi, sembra di rivivere con
l’immaginazione il noto quadro di Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di
corvi (1890): Lacera il mio corpo sulle
ali dorate di un angelo e volo su campi di grano, abbracciato ai raggi del sole
devastante. […]
Goccia
infuocata, belva di sangue, sbrana i miei scialbi sentimenti e riposa sul mio
cuore. Spregevole creatura nera, abile creatrice di incubi avvilenti.
L’azione
terapeutica della poesia consiste proprio nello svelamento del perturbante,
l’unheimlich, che come scrive Schelling nella Filosofia della mitologia: “È
detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che è
invece affiorato”. Di qui il tessuto, la trama poetica che unisce i versi di
Uria in una ricerca odisseica del proprio sé, lungo un gioco di luci e di
ombre, di pieno e di vuoto, di amore e di abbandono – spettro di impressioni
fotografiche dell’io che dissimula un sottotesto romantico e melanconico. Trame
d'assenza di Davide Uria è la narrazione in versi di un perdersi e di un
ritrovarsi continuamente. È la storia di ogni lettore che riesce a
immedesimarsi emotivamente nei luoghi interiori del poeta, profeta di se stesso
e di tutto quello che accade nell’animo umano. Dagli abissi tenebrosi del
dolore alla luce salvifica della vita: è il percorso di un riscatto che fa
delle parole la propria guida, è lo svelamento dell’inconscio nel mistero
sorprendente del pathos.
Vincenza Fava
DICE L'AUTORE:
Ricordo che da bambino nella
villa dove abitava mia nonna c'era un piccolo bosco, ora quel bosco non c'è
più, ci sono delle case. Ecco! Se penso a quel ricordo, riesco a descrivere il
sentimento dell'assenza, che non è vuoto, al contrario è uno spazio così carico
di emozioni da non esserci più posto per altro. L'assenza è sapere che qualcosa
o qualcuno che è esistito, ora non c'è più.
Sono trascorsi quasi 14 anni
dalla prima poesia scritta. 14 lunghi anni che hanno segnato la mia vita. Ora
sicuramente tante cose sono cambiate e il mio modo di osservare è decisamente
diverso. Le poesie della raccolta raccontano di me, di un me ragazzino e un me
un po' più adulto, e i due momenti della mia esistenza si confrontano e si
scontrano, uno vorrebbe fuggire dall'altro. Tornare alle origini o continuare
ad avere sempre e comunque visioni nuove? Ripenso alla mia adolescenza, al
ragazzino timido, riservato, che non voleva mostrarsi, per paura di un giudizio
negativo. Solo oggi riesco a interpretare le poesie scritte in quel periodo,
dal me che voleva nascondersi e non voleva farsi capire, assente da se stesso.
E questo è un po' il senso dell'immagine della copertina. Un uomo che corre via
dal suo passato, dalle trame intricate, verso una nuova immagine, privo dei
propri connotati, per trovare simbolicamente un volto nuovo.
L'assenza è fatta anche di lunghe
attese e di speranza. Penelope avrebbe potuto rinunciare per sempre al suo
grande amore, ma trovò uno stratagemma per non addivenire a nuove nozze, aveva
subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che sarebbe
dovuto essere il lenzuolo funebre del suocero Laerte. Per impedire che ciò
accadesse, la notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno. Per
me la poesia è proprio questo: un espediente, una trovata per non sentirmi
sconfitto e sopraffatto dagli eventi. Libero nelle scelte e scevro dalle
convinzioni e dagli obblighi sociali.
ESTRATTI:
Tra i rami e le nuvole
Se mi cerchi
sono tra i
rami
e le
nuvole,
a
disegnare
una nuova
e sottile voce
alle
osannate utopie
assopite,
annebbiate
dal tempo.
Vieni a
cercarmi
domani
con la
luce
di un
giorno nuovo,
lontano
dai
consueti luoghi
del
rimpianto,
con gli
occhi
di un
bambino
per
mietere
i frutti
di questi
cupidi rami,
che si
intrecciano
tra le
dissipate nubi.
Se mi
cerchi
sono tra
le foglie leggere,
a misurare
il vento,
a
rintracciare
le soglie
di questo
cupo
inverno.
Falene
Nei tuoi occhi,
svelati dalla luce,
informi falene
blindano con destrezza
il mio sognante cammino.
Mi offrono un viso
dove l'impronta del Diavolo,
cucita sulla pelle,
ricama un folle potere
intriso di odio e raggelante passione.
Disegno la dimora
dei miei occhi
e il silenzio della tua voce
mi avvolge in un guscio roccioso.
Lentamente mi imprigiona,
in una bocca di fuoco mi lacera,
trafigge il mio cuore con struggenti parole,
crudelmente induce all'autodistruzione.
Nel
mio paese, la morte
Ali d'aria
gettate nel fango,
decomposte anime
sul paese della rovina
in cerca di pasti
e frugali sentimenti.
Chiamami
sulla via dell'abbandono,
ho tra le mani
una serie di astri,
stelle di elementi nocivi
che danzano sulla morte.
Fiumi di seta
sfociano nei mari,
come capelli di Diavolo
affliggono e disincantano
silenziosi utopisti.
Svegliami
sotto le artiche montagne,
ho nelle membra
miseri tesori,
ricordi sfocati
simili a sfere di lacrime.
(il
male)
(la mia mano è un fiume
che sfocia attraverso le dita
nel tuo
mare di sangue e di fuoco.)
Il canto
della monotonia
Sospiri riempiono le serate di inerzia.
Distanti e inermi nel mondo,
anche questa sera
le nostre braccia prolungate
diventeranno rami
che tristemente avvolgeranno
i nostri corpi
immobili e spogli,
simili ad alberi
affiancati
su viali.
L’ attesa
La luce del giorno
svela l'effimera
sostanza
dei miei occhi.
Supremo al mio
cospetto,
un monte si erge
come un' elevata
muraglia
Giunge con una gelida
coltre
la stagione invernale.
Un soffice e candido
tappeto
ricopre il sentiero,
atrofizza parole.
Parole che sfuggono
tra le graffianti
mani,
parole dimenticate,
oscurate dall'oblio.
Vorrei che la notte
accolta nel silenzio,
mi stringa nel suo
algido abbraccio.
Perduto,
rimembro alle fragili
attese
di ogni tuo sguardo.
Ho colto l' immenso,
l'eterno, il soave,
lo stupore della mia
amarezza
di ogni tua mancata
carezza.
Terra, genitrice
funesta
sovrana dell'indigenza
rendi il mio spirito
Imperatore del vuoto.
E soffro, verso umido
dolore
un fiume che traccia,
con macabre sfumature,
uno sgradevole
ed insanabile tormento.
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