lunedì 9 ottobre 2017

"TRAME D'ASSENZA" di Davide Uria



Buongiorno follower, buon inizio settimana! 
Il lunedì è un po' drastica per tutti, ma ce la possiamo fare, dai. Meglio ancora se in compagnia di un buon libro... 😉
Davide Uria ci parla di "Trame d'assenza", la sua raccolta di poesie 😊





Titolo: Trame d'assenza
Autore: Davide Uria

Casa editrice: Augh! Edizioni
Collana: Nuvole

Genere: Poesie

Disponibile in formato cartaceo a € 9,90 

Pagina autore: Davide Uria







TRAMA:

Trame d’assenza di Davide Uria è la narrazione in versi di un perdersi e di un ritrovarsi continuamente. È la storia di ogni lettore che riesce a immedesimarsi emotivamente nei luoghi interiori del poeta, profeta di se stesso e di tutto quello che accade nell’animo umano. Dagli abissi tenebrosi del dolore alla luce salvifica della vita: è il percorso di un riscatto che fa delle parole la propria guida, è lo svelamento dell’inconscio nel mistero sorprendente del pathos.




BIOGRAFIA:

Davide Uria è nato nel 1987 a Trani. Si è laureato in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Nel 2005 si è classificato al terzo posto nella categoria Giovani del Concorso Nazionale di Poesia “Segni d’appartenenza”. Ha collaborato con l’ufficio stampa del Mart di Rovereto (TN) e come cultore della materia presso l’Accademia di Belle Arti di Bari. Scrive e realizza illustrazioni. Trame d’assenza è la sua prima pubblicazione. 







PREFAZIONE:

In questa silloge di esordio, Trame d’assenza, Davide Uria si rivela come il poeta dell’abbandono, della nostalgia, della lotta interiore. La sua poesia ci trasmette la coscienza dell’esistere attraverso uno stile elegiaco, intimo e conflittuale a un tempo. Nei versi che aprono la raccolta, e precisamente nella poesia Preludio, il giovane poeta ci spiega la sua poetica e il significato celato nelle sue parole, dense e simboliche, scavatrici di abissi e fautrici di incendi alimentati da un vento medianico. Il senso della fine, la percezione dell’ineluttabile, la disperazione che cerca la salvezza e una via d’uscita da un’impasse dolorosa sono i temi portanti dell’intero poemetto. La ricerca amletica di una soluzione risiede nel tentativo di immedesimarsi nella natura circostante, specchio di stati d’animo emozionali per trovare una cura “poetica” alle ferite di un passato tormentato e riscoprire quindi la luce che risiede dentro di sé. 

Uria trae ispirazione da tutto ciò che lo circonda ma in modo particolare dagli elementi naturali: il mare, la luna, il vento, la neve, la grandine. Tutto contribuisce ad alimentare la sua arte legata a effigi di profonda bellezza, a nutrire le sue parole, dense di sensazioni ed emozioni a volte struggenti, a volte ferrigne. Non manca infatti l’asprezza, la rabbia intrisa di malinconia, la sensazione di una forza superiore che può arrivare imprevedibilmente sul nostro cammino a volte a consolare, a volte anche a insinuarsi come un veleno di insofferenza, nell’impossibilità di un riscatto agognato. Il paesaggio descritto  in alcuni casi è quasi l’emblema di un paradiso perduto, il microcosmo di una primigenia felicità/passione che lo ha abbandonato a se stesso. Ecco che le ferite riemergono come punte di un iceberg in un oceano di silenzio – sul bianco della pagina nascono frammenti di inchiostro, echi di assenze – e il poeta si sorprende degli inganni della memoria, nella consapevolezza di un doloroso passato che dovrebbe volare via, nella stessa misura in cui il vento ci sfiora per poi passare oltre. Eppure, come tutti i poeti sanno, non ci si può esimere dall’incontro con la sofferenza, perché questa emozione, al di là della sua accezione negativa, può rivelarci la sensazione di essere vivi hic et nunc, unica verità fruibile nella molteplicità dei segni. Distrattamente si perde un equilibrio, ferocemente si perde un amore e nei labirinti mentali che imprigionano, ecco che si cercano le porte interiori per giungere a una salvezza che, nel caso specifico di Uria, avviene attraverso la poesia. La passione amorosa è simbolicamente angelo e demone, è presenza e assenza nelle melodiose note cantate dal poeta che, come Catullo, odia e ama a un tempo. Ma quello che ci stupisce è la forza con cui la parola nata dal silenzio rapisce l’autore e non viceversa: “Ho fatto tesoro di parole mai pronunciate / in loro trovo riparo, conforto”. Uria risponde al suo istinto di versificatore, le parole sgorgano come acqua di sorgente, non possono fermarsi, l’obiettivo è la vita. L’artefice è sempre innamorato della parola, è preda della sua indole poetica e cade nella purezza del sentire. Tra confessioni e sussurri, sospiri di morte e grida piene di vita, si fa strada il senso di una lacerazione costante, come nella poesia Creatura. In questi versi inquietanti, che ci svelano un sublime intravisto e afferrato negli abissi, sembra di rivivere con l’immaginazione il noto quadro di Vincent Van Gogh, Campo di grano con volo di corvi (1890):  Lacera il mio corpo sulle ali dorate di un angelo e volo su campi di grano, abbracciato ai raggi del sole devastante. […]
Goccia infuocata, belva di sangue, sbrana i miei scialbi sentimenti e riposa sul mio cuore. Spregevole creatura nera, abile creatrice di incubi avvilenti.
L’azione terapeutica della poesia consiste proprio nello svelamento del perturbante, l’unheimlich, che come scrive Schelling nella Filosofia della mitologia: “È detto unheimlich tutto ciò che potrebbe restare segreto, nascosto, e che è invece affiorato”. Di qui il tessuto, la trama poetica che unisce i versi di Uria in una ricerca odisseica del proprio sé, lungo un gioco di luci e di ombre, di pieno e di vuoto, di amore e di abbandono – spettro di impressioni fotografiche dell’io che dissimula un sottotesto romantico e melanconico. Trame d'assenza di Davide Uria è la narrazione in versi di un perdersi e di un ritrovarsi continuamente. È la storia di ogni lettore che riesce a immedesimarsi emotivamente nei luoghi interiori del poeta, profeta di se stesso e di tutto quello che accade nell’animo umano. Dagli abissi tenebrosi del dolore alla luce salvifica della vita: è il percorso di un riscatto che fa delle parole la propria guida, è lo svelamento dell’inconscio nel mistero sorprendente del pathos.
Vincenza Fava 







DICE L'AUTORE:

Ricordo che da bambino nella villa dove abitava mia nonna c'era un piccolo bosco, ora quel bosco non c'è più, ci sono delle case. Ecco! Se penso a quel ricordo, riesco a descrivere il sentimento dell'assenza, che non è vuoto, al contrario è uno spazio così carico di emozioni da non esserci più posto per altro. L'assenza è sapere che qualcosa o qualcuno che è esistito, ora non c'è più.


Sono trascorsi quasi 14 anni dalla prima poesia scritta. 14 lunghi anni che hanno segnato la mia vita. Ora sicuramente tante cose sono cambiate e il mio modo di osservare è decisamente diverso. Le poesie della raccolta raccontano di me, di un me ragazzino e un me un po' più adulto, e i due momenti della mia esistenza si confrontano e si scontrano, uno vorrebbe fuggire dall'altro. Tornare alle origini o continuare ad avere sempre e comunque visioni nuove? Ripenso alla mia adolescenza, al ragazzino timido, riservato, che non voleva mostrarsi, per paura di un giudizio negativo. Solo oggi riesco a interpretare le poesie scritte in quel periodo, dal me che voleva nascondersi e non voleva farsi capire, assente da se stesso. E questo è un po' il senso dell'immagine della copertina. Un uomo che corre via dal suo passato, dalle trame intricate, verso una nuova immagine, privo dei propri connotati, per trovare simbolicamente un volto nuovo.
   

L'assenza è fatta anche di lunghe attese e di speranza. Penelope avrebbe potuto rinunciare per sempre al suo grande amore, ma trovò uno stratagemma per non addivenire a nuove nozze, aveva subordinato la scelta del pretendente all'ultimazione di quello che sarebbe dovuto essere il lenzuolo funebre del suocero Laerte. Per impedire che ciò accadesse, la notte disfaceva la tela che aveva tessuto durante il giorno. Per me la poesia è proprio questo: un espediente, una trovata per non sentirmi sconfitto e sopraffatto dagli eventi. Libero nelle scelte e scevro dalle convinzioni e dagli obblighi sociali. 







ESTRATTI:


Tra i rami e le nuvole

Se mi cerchi
sono tra i rami
e le nuvole,
a disegnare
una nuova e sottile voce
alle osannate utopie
assopite,
annebbiate dal tempo.

Vieni a cercarmi
domani
con la luce
di un giorno nuovo,
lontano
dai consueti luoghi
del rimpianto,
con gli occhi
di un bambino
per mietere
i frutti
di questi cupidi rami,
che si intrecciano
tra le dissipate nubi.

Se mi cerchi
sono tra le foglie leggere,
a misurare il vento,
a rintracciare
le soglie di questo
cupo inverno.

  

Falene

Nei tuoi occhi,
svelati dalla luce,
informi falene
blindano con destrezza
il mio sognante cammino.
Mi offrono un viso
dove l'impronta del Diavolo,
cucita sulla pelle,
ricama un folle potere
intriso di odio e raggelante passione.

Disegno la dimora
dei miei occhi
e il silenzio della tua voce
mi avvolge in un guscio roccioso.
Lentamente mi imprigiona,
in una bocca di fuoco mi lacera,
trafigge il mio cuore con struggenti parole,
crudelmente induce all'autodistruzione.



Nel mio paese, la morte

Ali d'aria
gettate nel fango,
decomposte anime
sul paese della rovina
in cerca di pasti
e frugali sentimenti.

Chiamami
sulla via dell'abbandono,
ho tra le mani
una serie di astri,
stelle di elementi nocivi
che danzano sulla morte.

Fiumi di seta
sfociano nei mari,
come capelli di Diavolo
affliggono e disincantano
silenziosi utopisti.

Svegliami
sotto le artiche montagne,
ho nelle membra
miseri tesori,
ricordi sfocati
simili a sfere di lacrime.



(il male)

(la mia mano è un fiume
che sfocia attraverso le dita
nel tuo mare di sangue e di fuoco.)



Il canto della monotonia

Sospiri riempiono le serate di inerzia.

Distanti e inermi nel mondo,
anche questa sera
le nostre braccia prolungate
diventeranno rami
che tristemente avvolgeranno
i nostri corpi
immobili e spogli,
simili ad alberi
affiancati su viali.


  
L’ attesa 

La luce del giorno
svela l'effimera sostanza
dei miei occhi.

Supremo al mio cospetto,
un monte si erge
come un' elevata muraglia

Giunge con una gelida coltre
la stagione invernale.
Un soffice e candido tappeto
ricopre il sentiero,
atrofizza parole.
Parole che sfuggono
tra le graffianti mani,
parole dimenticate,
oscurate dall'oblio.

Vorrei che la notte
accolta nel silenzio,
mi stringa nel suo algido abbraccio.

Perduto,
rimembro alle fragili attese
di ogni tuo sguardo.

Ho colto l' immenso, l'eterno, il soave,
lo stupore della mia amarezza
di ogni tua mancata carezza.

Terra, genitrice funesta
sovrana dell'indigenza
rendi il mio spirito
Imperatore del vuoto.
E soffro, verso umido dolore
un fiume che traccia,
con macabre sfumature,
uno sgradevole
ed insanabile tormento.



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