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Vi segnalo "Il segreto delle viole", il romanzo dell'autrice Antonella Grimaldi.
Titolo: Il segreto delle viole
Autore: Antonella Grimaldi
Genere: Narrativa contemporanea
Casa editrice: GoWare
Disponibile in ebook a € 4,99
e in formato cartaceo a € 10,19
Contatti: Antonella Grimaldi
TRAMA:
In una notte d’inverno, Chiara ricorda uno dei pittori che
più hanno segnato la sua carriera di storica dell’arte, Caravaggio, il pittore
capace di illuminare il buio. E allora, riesce a guardare nell’abisso
dell’amore di Massimo, l’unico ad amarla immensamente e ad averla fatta
soffrire in modo indicibile. Decide così di scrivere a Luca, il suo compagno,
per raccontargli di sé, di come l’amore l’avesse sempre sfiorata senza mai
toccarla, della speranza di incontrare qualcuno da amare, del suo incontro con
Massimo e della violenza in una notte di inizio estate. La rivelazione colta
nella pittura del Caravaggio la porta a dialogare con il suo compagno e a
prospettargli tutti i suoi dubbi, mentre l’amore per la libertà la spinge a
ritornare nella sua campagna: aspetterà che le viole e le rose di sua madre
spargano il loro profumo nel giardino; ascolterà il vento che soffia tra le
colline; si affiderà al suo segreto, la vita, che sta per riservarle ancora una
sorpresa.
BIOGRAFIA:
Nata a Vinci, è una studiosa di Storia del Cristianesimo e
del Risorgimento. Ha pubblicato articoli e monografie su questo periodo
storico, dedicando particolare attenzione a figure e momenti del Risorgimento
genovese e casalese. Da un po’ di tempo, si dedica anche alla scrittura di
romanzi per completare il suo profilo culturale e rispondere in modo concreto
alla sua passione letteraria.
Nel giugno del 2018 ha esordito nel campo della narrativa
con il romanzo Il segreto delle viole (Firenze, goWare). Successivamente, la
sua short story, Il corpo di Emma, si è classificata prima al VII Concorso
internazionale di poesia occidentale e haiku di Genova. Il suo secondo romanzo,
La voce di Eloisa, anch'esso dedicato alle indagini del commissario Antonio
Conte, uscirà a breve presso Edizioni Ensemble.
Vive in campagna, in provincia di Firenze, città nella quale
trascorre molto del suo tempo per ragioni di studio. Ama leggere, ascoltare
musica -barocco veneziano, Battisti e De André- e si diletta facendo lunghe
passeggiate in compagnia del suo cane, Titti.
DICE L’AUTRICE:
L'idea di scrivere questo romanzo è nata passeggiando in
compagnia del mio cane per la campagna, in cui vivo Pensando a quanto fosse
bello ciò che stavo vivendo, ho compreso l'importanza della bellezza per la
vita di ognuno di noi. La bellezza ci consola e ci dà la forza di andare
avanti, ci dà una meta alla quale tendere mettendo da parte le brutture, le
meschinità, le cattiverie che la vita somministra in maniera abbastanza
spietata.
Ho compiuto i miei studi universitari animata dalla
convinzione che non vi fosse nulla di più prezioso della possibilità di
studiare e, così, ho continuato per tanto tempo a studiare, scrivere,
documentarmi, ma quando a sera mi sentivo stanca, immancabilmente, trovavo il
mio sollievo leggendo un bel romanzo. Ho impiegato un bel po' di tempo per
rendermi conto di quanto quella parentesi -aperta sul treno, che mi riportava a
casa, e chiusa nel mio letto prima di spegnere la luce- fosse per me vitale.
Tuttavia, quando l'ho fatto, l'ho fatto per bene e ho cominciato a scrivere. È
accaduto, durante una delle mie ricerche: lavorando su un racconto inedito, Una
monaca nel 1849, ho preso atto di quanto quell'esperienza fosse gratificante e
di come mi donasse un sentimento di indescrivibile pienezza.
Da allora, ho continuato la mia vita di sempre: studio,
scrivo, mi documento; ascolto De André e Vivaldi; e faccio ancora le mie lunghe
passeggiate con il cane. Ho un problema in più, perché trovare il tempo per
scrivere non è affatto semplice. Eppure, sono felice.
BREVE ESTRATTO:
Scesi il pendio della collina. La Magia riposava tra la
folla degli alberi. In quell’angolo, risparmiato ai vigneti, dimoravano piante
di ogni genere, fiori i più svariati, rose odorose e variopinte, antiche o
singolari. La vita della Magia aveva un respiro più grande dello stesso
universo. La sensazione di immobilità era pesante. Mi concentrai nell’ascolto
di ogni lieve rumore per essere sicura che il tempo continuasse a scorrere, ma
più ascoltavo, più mi pareva di vivere un’esperienza di assoluta sospensione.
Guardavo gli alberi e i fiori a me vicini, e più ne vedevo, più mi pareva che
lo spazio si dilatasse nell’immensità, al di là della mia capacità di vedere e
comprendere. La sovrabbondanza dei colori, la ricchezza del roseto mi
stordivano e mi conducevano verso la scoperta di quella vitale armonia creata
dal susseguirsi della malva, del rosso acceso, del giallo e del viola, finché
non giunsi in quella radura che somigliava a un romantico giardino segreto
fatto di fiori rosa e bianchi. Gli sciami di cespugli, i cespi di lavanda, di
rosmarino, di salvia, di ruta, di artemisia e santolina disperdevano nell’aria
i loro profumi e legavano lo sguardo al rincorrersi dei fiori e delle piante.
Tutta quella bellezza era frutto del caso, cioè del lavorio continuo di mia
madre che, appena vedeva uno slargo vuoto, subito l’occupava. La mattina dopo
mi svegliai che il sole era già alto. Dalla finestra della mia stanza potevo
scorgere la parte più lontana del giardino, dove c’erano solo alcune rose fra i
cipressi e i lecci. Quel boschetto era sempre stato luogo dei miei ricordi di
bambina, e quello di mia madre che un giorno se n’era andata nel bosco in cerca
di violette e primule da trapiantare nel nostro giardino, era il più caro. Io
non avevo approvato la sua scelta ma, dopo che con il trascorrere degli anni
avevo visto le viole nascere ovunque e sentito il loro profumo effondersi
copioso, in silenzio, l’avevo ringraziata per quella sua passeggiata solitaria.
Le viole non sono fiori da niente. Il loro colore custodisce il segreto della
complessità della vita, del labile confine che la separa dalla morte, del suo
essere sospesa tra la terra e il cielo. Il loro profumo è una promessa di vita,
un segreto da difendere. E anch’io custodivo un segreto, anch’io emanavo il fresco
profumo della vita perché continuavo a spargere vita. Mi venne da sorridere,
quelle violette non avevano commesso lo sbaglio di dimenticarsi di se stesse
come avevo fatto io in quell’attimo, quando avevo dimenticato il vento che mi
aveva fatto volare libera, il candore di Gina, l’amore di Lauretta, le poesie
di Maria, il primo bacio dei miei genitori. Ma il mio segreto era rimasto
intatto. La bambina che aveva aspettato fiduciosa l’avvenire era sempre viva,
la ragazza che aveva sognato l’amore era lì, tra quelle viole. Il mio segreto
ero io. Il mio segreto era in movimento, cambiava insieme a me. Era stato lo
sbaglio di un attimo. Era divenuto la forza che mi faceva andare avanti, gli
occhi che scrutavano le opere dei miei pittori in cerca di risposte. E così
potevo capire il fascino dell’Autoritratto come allegoria della pittura di
Artemisia, potevo finalmente leggere lo sguardo del Cristo risorto di Piero
della Francesca, potevo accettare la potente attrazione che nutrivo nei
riguardi di Caravaggio. Io, una povera assegnista senza una seria prospettiva
di carriera accademica, ero in grado di comprendere l’amore per la libertà di
Artemisia, l’immenso coraggio del Cristo di Piero. E, al termine del mio
supplizio, potevo finalmente spiegarmi perché fossi rimasta senza fiato di
fronte alla Cena in Emmaus di Caravaggio. Fino al giorno in cui visitai la
Galleria dell’Accademia di Milano, avevo amato la pittura degli impressionisti
più di ogni altra e goduto della bellezza della luce pura che impregnava di sé
i colori. Ma quella domenica mattina, quando vidi per la prima volta la Cena in
Emmaus, ne rimasi così colpita da pensare di non conoscermi affatto. Nei mesi
seguenti esitai a lungo consumandomi nel dubbio, giudicando il mio turbamento
più dovuto al rancore per le mie amiche, che mi avevano lasciata da sola, che
al quadro in sé. Qualcosa di irresistibile, una specie di timore nei confronti
della pittura di Caravaggio, mi accompagnò, vivo e silenzioso, negli anni che
seguirono. E ora capivo che il chiaroscuro, per il grande pittore, non era
soltanto una tecnica pittorica, era scienza della vita così com’è fatta di luci
e ombre, di contrasti. Soltanto chi sapeva questo poteva raffigurare la Vergine
morente con le sembianze di una donna del popolo annegata nel Tevere, capire
che l’ombra nel mio passato era l’effetto della luce che avevo acceso sulla mia
vita aspettando l’amore. Se non avessi brillato di quella luce, Massimo non mi
avrebbe mai voluta, non con quella forza. Se non l’avessi avuta dentro di me,
non avrei mai sfidato l’oscurità di quella notte né il suo desiderio.
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