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Vi segnalo "Rosamaria", il romanzo dell'autrice Giovanna Ventrella, edito Ciesse Edizioni.
Vi segnalo "Rosamaria", il romanzo dell'autrice Giovanna Ventrella, edito Ciesse Edizioni.
Titolo: Rosamaria
Autore: Giovanna Ventrella
Genere: Narrativa contemporanea
Casa editrice: Ciesse Edizioni
Collana: Green
Disponibile in ebook a € 4,49
e in formato cartaceo a € 14,90
Pagina autore: Giovanna Ventrella Autrice
TRAMA:
È la storia di una bambina con la sindrome di Down,
raccontata senza cadere nel patetico, ma in modo originale e fuori dagli
schemi. Ambientata negli anni Settanta in un Sud ancora molto arretrato, mette
a nudo la situazione delle persone con disabilità in una realtà che poco e
nulla aveva o poteva offrire in termini di interventi terapeutici. A tratti la
vicenda assume toni grotteschi e comici per via delle situazioni e dei
personaggi che si incontrano tra le pagine. Atteggiamenti ambigui tra gli
abitanti del piccolo paesino: accettazione di pancia per qualcuno e
pregiudizio, paura del diverso e quasi tabù per altri.
BIOGRAFIA:
Giovanna Ventrella, milanese di nascita, ma con origini
del Sud, insegnante di scuola primaria, ha scritto numerosi testi scolastici
per alunni con difficoltà di apprendimento per la Gaia edizioni. “Rosamaria” è
il suo romanzo d’esordio, ambientato in un piccolo paese del Meridione dove ha
vissuto la sua fanciullezza negli anni 70. Giornate intere a giocare tra i
vicoli, con i bambini di tutte le età: vivaci, chiassosi, tra loro
solidali o acerrimi nemici per il tempo
di un battito d’ali. Una banda allegra dove le differenze si mischiano in un
tutt’uno di risate, dialetto e ginocchia
sbucciate. Ed è in questo contesto, dove
la diversità è temuta, schernita o accettata di pancia, l’autrice racconta la
storia dell’amicizia tra una bambina del Nord e la sua coetanea del Sud con la
sindrome di Down. Nulla di scolastico, istituzionale o pedagogico, ma pura
emozione e qualche innocente risate.
BREVE ESTRATTO:
Dalla latteria, che era una piccola costruzione in tufo
col tetto basso situata di fianco alla stalla, uscì la bambina e si diresse
verso Matusa che, appena la vide, prese a ragliare con più vigore. Sembrava che
la chiamasse.
La bambina accarezzava Matusa sul muso e le porgeva
delicatamente del cibo, che l’asina afferrava protendendo le labbra come se
volesse evitare di morderle la mano.
Se smetteva di coccolarla, Matusa per farle capire di
continuare, col muso le dava dei colpetti sulla spalla.
Non si accorse che Anna era vicino a lei e trasalì per lo
spavento appena la vide. Corse a nascondersi dietro la porta della latteria,
cosicché Anna non ebbe neanche il tempo di guardarla in volto.
Anna prese ad accarezzare Matusa di lato, in modo da
poter vedere cosa stesse facendo la bambina. Sapeva che la stava osservando,
perché intravvedeva la sua testa che ogni tanto spuntava dalla porta.
Improvvisamente l’asina emise un raglio talmente sonoro
che, per lo spavento, Anna fece un salto indietro: capì che Matusa stava
chiamando la bambina, che a quel punto venne allo scoperto: fissò Anna e, con
un eloquente gesto dell’avambraccio, la mandò affanculo.
La bambina si avvicinò all’asina, guardò Anna con aria di
sfida e, con un filo di voce quasi impercettibile, disse: «Mia.»
Così vicina Anna ebbe modo di osservarla meglio.
Erano alte uguali, ma a differenza di lei che era esile e
dal colorito pallido, la bambina era cicciottella e rosea. Aveva i capelli
lisci e rossicci che le arrivavano sulle spalle. Denti storti e irregolari,
nascosti da due labbra carnose che si aprivano a sporadici, ma bellissimi
sorrisi, contagiavano di ilarità tutto il suo corpo e il suo essere.
Gli occhi a mandorla.
Era una bambina con la Sindrome di Down.
A Milano le era capitato di vedere per strada adulti e
bambini con la Sindrome di Down e sua madre le aveva spiegato che erano persone
con "problemi", nate così. Le raccomandava di non fissarle, per non mettere in
imbarazzo i genitori.
A quel punto ad Anna risultarono chiare le parole del
nonno.
La bambina continuava a ripetere “mia” e Anna,
consapevole di chi aveva davanti, non osava contraddirla. La bambina continuava
a spingerla per allontanarla da Matusa, la quale sembrava felice di essere
l’oggetto del desiderio.
Ad un certo punto, infastidita dagli spintoni della
bambina, dal sentire con ritmo continuo e monotono la parola "mia",
dall’attaccamento reciproco tra la lei e Matusa, Anna ebbe un moto di stizza e
di gelosia e cominciò ad accarezzare l’asina e a baciarla sul muso. La bambina
tolse con veemenza la mano di Anna dal pelame di Matusa e rinforzò il “mia”
abbracciandola con maggior trasporto.
Per poco non scoppiava una rissa.
Anna non riuscì più a controllarsi e, andando contro gli
ordini del nonno e contro quello che riteneva essere un tabù, urlando e
minacciando le disse: «Lei è più mia che tua, visto che è l’asina di mio nonno,
quindi smamma altrimenti vedi!»
Si rese conto di averla combinata grossa nel momento
stesso in cui pronunciava quelle parole.
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