Vi ricordate questo libro? Daniela Perelli lo aveva letto e recensito per noi (QUI). Ebbene, l'autrice, Tiziana Iaccarino, ha deciso di fare un regalo ai suoi affezionati lettori... un capitolo extra! Potete leggerlo qui, oppure scaricare il file dal gruppo delle harmonyne 😄
Titolo: Con il cuore in subbuglio
Autore: Tiziana Iaccarino
Disponibile in ebook a € 0,99
Pagina autore: Tiziana Iaccarino
CAPITOLO EXTRA:
Quante volte avevo immaginato di farlo?
Quanto avrei voluto urlargli che era stato disonesto da parte sua ricoprire il ruolo del padre
solo in determinate occasioni, quando le circostanze e l'occorrenza lo esigevano!
Non aveva mai voluto ascoltarmi. Lui si era rinchiuso in un mondo che scorreva, rapido e
funesto, lungo corsie d'ospedale dalle pareti verniciate di un bianco stanco come i volti
pallidi e sofferenti dei suoi pazienti o di chi aveva ricevuto una brutta notizia.
Mio padre non era mai stato un genitore presente e non aveva mai voluto neanche prendere
in considerazione la sola idea di instaurare un rapporto vero con l'unica figlia che aveva.
Sapevo di averlo deluso, a causa del mio carattere ribelle e testardo, ma non giustificavo la
rigida inflessibilità con la quale riusciva a gestirmi senza mai sporcarsi le mani, perché a lui
piaceva usare le parole e quelle diventavano legge, una volta pronunciate.
Lui evitava di lasciarmi segni o cicatrici sulla pelle, ma il silenzio di cui spesso si faceva
scudo, nel tempo che trascorrevamo insieme, faceva sempre più male sull'anima.
Mio padre aveva voluto mandarmi in Inghilterra e ora avrebbe pagato amaramente le
conseguenze di quella scelta, in quanto ciò che era avvenuto in quel Paese aveva
scombussolato la mia esistenza. Io non sarei più tornata in Italia, perché avevo trovato
l'amore della mia vita.
James.
Sarebbe stato mio per sempre. Lo sapevo. Lo sentivo.
Da quando ci eravamo ritrovati, la nostra vita era cambiata in meglio.
Quando James mi annunciò che voleva voltare pagina insieme a me, approvai qualunque
tipo di decisione, pur non capendo a cosa si riferisse e sperai che non mi deludesse.
La prima idea che gli venne in mente riguardò la sua tenuta.
Aveva deciso di rinnovarne l'aspetto, ma soprattutto di rinfrescarne le mura, di alleggerirne
l'atmosfera in alcuni ambienti e di modernizzarne l'immagine.
Decise di cominciare dalla camera da letto, dove avevamo fatto l'amore, il giorno in cui ero
tornata da lui.
Quella camera mi si era presentata persino assente a se stessa, una volta varcata la soglia
della porta che teneva sempre chiusa. James doveva aver molto patito la mancanza della sua
donna, perché nell'aria si percepiva qualcosa di indefinibilmente rimasto in sospeso.
Non aveva mai cambiato il letto o l'arredo e il guardaroba conteneva ancora tutti gli abiti
della moglie. Dopo dieci lunghi anni, quegli indumenti ormai datati erano vuoti di
qualunque tipo e forma di vita.
James decise di raccoglierli rapidamente, quella sera stessa, per custodirne il ricordo in un
baule che, in seguito, sistemò in cantina.
Una settimana dopo il mio ritorno, prese a cambiare completamente quella camera a partire
dai muri ricoperti da un'antica carta da parati di un verde militare a fantasie astratte con
rifiniture giallognole, in stile vintage.
Decise di acquistare tutto ciò che gli sarebbe servito per togliere la carta e verniciare le
pareti di un cobalto fresco e moderno, scelto insieme tra una serie di tonalità offerte da un
ampio campionario in un negozio del centro.
James raccolse i suoi lunghi capelli in una coda e si mise all'opera a torso nudo, sotto lo sguardo annoiato e indifferente del suo cane e la mia voglia di restare in un angolo a contemplarne ogni magnifico dettaglio.
Era perfetto nei jeans che gli fasciavano il fondoschiena e le cosce dalla muscolatura di poco
accennata.
Le spalle larghe mi lasciavano fantasticare sulla setosità della pelle che avrei potuto
accarezzare arrivando, quando meno se lo sarebbe aspettato, su quella scala di legno
malandata che sembrava tenerlo sospeso a mezz'aria in modo quasi miracoloso.
James era impegnato a verniciare la parete e io a sorseggiare un tè amaro, ma il mio cuore
ancora in subbuglio era stato addolcito dalla tisana di una consapevolezza: quella camera
sarebbe stata soltanto nostra, una volta terminata.
I miei occhi si posarono, lascivi, sul bordo logorato dei suoi vecchi jeans con la voglia di
allungare le dita lì dove avrei potuto abbassarglieli, curiosa di vedere se, sotto di essi,
indossasse gli slip.
Lo avrei preferito nudo a lavorare, in quel momento, in modo da contemplare ogni
centimetro del suo corpo, lussuriosa e indisturbata, consapevole che, nell'istante in cui si
sarebbe voltato, avrei potuto godere della vista offerta dal suo pene fiero e libero di eregersi,
appena mi fossi avvicinata.
Lo avrei sfiorato con i polpastrelli, bagnandomi le labbra con la punta della lingua e di
eccitazione tra le cosce, quando sarei riuscita a chinarmi per assaggiarne il sapore.
Avrei voluto compiacere il mio vichingo in quel modo, proprio nelle ore in cui si dedicava
alla verniciatura delle pareti, in una camera che era stata svuotata del mobilio, solo due
giorni prima, con l'aiuto di un paio di fattori che lo conoscevano da quando era un
ragazzino.
Avevo avuto modo di osservarlo, così, appoggiata a una delle pareti ancora spoglie,
sognando a occhi aperti qualunque tipo di scenario bruciante della passione che ci avrebbe
animato per il resto della vita.
Nel momento in cui udii lo squillo del telefonino, tornai alla realtà, svegliandomi da un
sogno nel quale mi ero già denudata di ogni inibizione.
Avevo appoggiato il cellulare su un mobile del corridoio al piano superiore da dove
intercettai subito sul display il numero di mio padre.
La sera precedente gli avevo scritto una lettera nella quale avevo deciso di raccontargli ogni
cosa, sperando che potesse capire le mie ragioni e magari assecondarle, quando gli avrei
promesso che mi sarei messa a studiare seriamente l'Inglese e mi sarei iscritta all'Università
di Birmingham.
Avrei imbucato quella lettera l'indomani nel centro di Milford, dopo averla bollata con i
valori necessari a farla arrivare a destinazione.
Avevo fatto la mia scelta.
James.
Era lui la mia strada da percorrere, per poter contemplare la magnificenza dell'orizzonte che
ci era innanzi.
«Papà, va tutto bene!» esclamai, subito dopo aver accettato la chiamata. «Sono partita,
perché avevo bisogno di vedere una persona, ma ti ho scritto una lettera. La imbuco domani.
Arriverà di certo tra una decina di giorni, devi solo aspettare di leggere ciò che ti ho scritto.
Porta pazienza, per favore.»
Mi rifugiai nel corridoio per parlargli con calma, sperando che capisse le mie ragioni
evitando qualunque tipo di discussione in grado di mettermi in agitazione.
Mio padre mi rivolse solo qualche parola di rammarico per il mio comportamento e decise
di attendere, sorprendentemente, la lettera. Non un rimprovero né una parola fuori posto
uscirono dalla sua bocca, solo la consapevolezza che fossi, ormai, una donna che poteva
decidere liberamente della sua vita e che doveva imparare a essere responsabile per se
stessa.
Si volle assicurare che stessi bene e riattaccò, senza neanche attendere che lo salutassi.
Il suo solito comportamento.
Non c'era da stupirsi.
Il giorno successivo mi sarei recata in centro per acquistare i francobolli che avrebbero fatto
arrivare quella lettera a destinazione e poi me ne sarei tornata alla tenuta, dopo aver
acquistato qualcosa di caldo nel panificio del paese.
Mai avrei potuto immaginare che, nel corso della mia passeggiata, in occasione di una
mattina illuminata da un sole un po' pallido, avrei incontrato Emily lungo l'unico sentiero
che mi avrebbe portata in centro.
EMILY.
Chiusa in una giacca in cotone chiaro su una camicetta bianca e una gonna che le arrivava
severamente ai polpacci, sbiancò, quando ci trovammo faccia a faccia.
I suoi bellissimi occhi azzurri sembrarono cristallizzarsi su di me e i capelli, legati in una
treccia appoggiata sulle spalle, erano a stento sfiorati dal vento.
Io avevo deciso di indossare un abito color panna con le maniche lunghe e lo scollo a V.
Severo, ma non troppo, in quanto arrivava a stento alle ginocchia. Ai piedi indossavo delle
comode, anche se inadatte, ballerine.
Emily deglutì e si fece avanti, senza esitare. I suoi occhi si riversarono sui miei come
un'improvvisa pioggia pronta a infangarci, passo dopo passo, lì dove quella strada sembrava
essere diventata improvvisamente un campo di battaglia.
Portava una borsa vecchia dal manico appeso a un braccio piegato e le mani si strofinavano
tra loro per riscaldarsi.
Sapevo di doverla affrontare. Quel momento sarebbe arrivato, prima o dopo, anche se non lo
avessi voluto, perché avevo deciso di vivere in quel posto con James ed ero cosciente del
fatto che tutti in paese sarebbero venuti a saperlo molto più rapidamente di quel che avrei
potuto immaginare.
Emily piegò le labbra in un sorriso che non compresi, ma decisi di fermarmi per salutarla,
nella speranza di scambiare due chiacchiere.
Non ci vedevamo da un mese e nessuna delle due aveva saputo niente dell'altra, così come il
resto della famiglia Rudolf, a meno che mio padre non avesse parlato telefonicamente con
Dawn, ma questo non era dato saperlo.
«Ero sicura che saresti tornata.» disse, funesta, squadrandomi da capo a piedi e incrociando
le braccia sotto al seno.
Il vento le sfiorava le guance già arrossate su un viso candido e lo sguardo si appoggiò sul
mio.
«Sono di nuovo a Milford solo per lui, Emily.» risposi, sincera, ma gli occhi già mi
bruciavano.
Emily prese a scuotere il capo, prima di prendere di nuovo la parola.
«Lui ti sta mentendo, Morena.» affermò. «Non è l'uomo che credi e questo mese non ti ha
davvero aspettato.»
Mi accigliai, per capire, ma non riuscii a cogliere il senso di quelle parole.
«Che cosa vuoi dire?»
«Sono stata a casa sua una notte.» rivelò, senza pudore, provocandomi un tuffo al cuore.
«Ho aspettato il momento più opportuno, quando la mia famiglia dormiva e tu non c'eri, per
vederlo, perché dovevamo chiarire molte cose e si è lasciato andare come mai aveva fatto
prima.»
Emily stava cercando di ferirmi, l'avevo capito, ma non le avrei dato corda, quindi cercai di
superarla per andarmene, ma mi afferrò per un braccio.
«Abbiamo fatto l'amore.» dichiarò con perfidia. «Non sapeva quando e se saresti tornata, era
stanco e solo. Aveva bisogno di una donna che gli scaldasse il letto.»
«Sei una bugiarda!» esclamai, cercando di divincolarmi senza successo. «Lui non ha mai
fatto salire nessuna, dopo sua moglie, in camera da letto.»
Emily sorrise.
«Povera, Morena.» mormorò, ironica. «Sei tanto innamorata da non riuscire a distinguere la
realtà dalla finzione.» proseguì, mentre le sue dita continuavano a stringere prepotentemente
il mio braccio. «Ti ha mentito. Lui ha sporcato quel letto già con la passione che divorava le
viscere della lontana cugina di sua moglie, prima che morisse, anzi... direi, prima che lui la
lasciasse morire per liberarsene.»
Sgranai gli occhi e mi divincolai con uno strattone, prima di alzare la voce.
«Stai mentendo!» urlai, furiosa, ma pensai di sprofondare in quello stesso istante, innanzi a
lei, in quel posto, prima che potesse darmi il colpo di grazia.
«Se non mi credi, chiedigli di raccontarti la verità, una volta per tutte, prima che la vostra
storia venga costruita su una montagna di bugie.» concluse e si allontanò, lasciandomi da
sola a rimuginare sull'assurda crudeltà delle sue parole.
James non poteva avermi mentito.
Non riuscivo a crederci, anche se Emily era stata capace di seminare in me un dubbio
atroce.
Aveva detto: “Abbiamo fatto l'amore” e poi “Lui ha sporcato quel letto già con la passione
che divorava le viscere della lontana cugina di sua moglie...” e poi “prima che lui la
lasciasse morire per liberarsene.”
Non potevo credere a quelle parole. Non dovevo, ma... dopo aver imbucato la lettera per
mio padre, sarei tornata a casa e avrei cercato in tutti i modi di chiarire ogni cosa con lui, tra
quelle quattro, tetre, fredde e antiche mura di silenzi e segreti.
James avrebbe dovuto raccontarmi tutto, se non avesse voluto che tra noi la fiducia fosse
venuta a mancare, iniziando un rapporto sulla fragilità di fondamenta di cartapesta.
Quando rientrai alla tenuta con lo sguardo perso nel vuoto, le gambe molli come gelatina e il
viso freddo, pensai di trovarlo ancora nella camera da letto a verniciare le pareti, invece era
in cucina a sorseggiare un tè in compagnia di uno dei vecchi fattori che lo aveva aiutato,
giorni addietro per lo sgombero della stanza.
«Hello!» salutai l'anziano dai capelli completamente grigi e gli occhi azzurri su un viso
segnato dal tempo. Indossava una maglietta chiara e un jeans extra large per nascondere il
pancione che, forse, riempiva di birra ogni week end. Sollevò uno sguardo sornione su di
me e una mano in segno di saluto, prima che mi accomodassi sul divano ad angolo della sala
in religioso silenzio, restando in attesa che la visita terminasse.
Il cane di James si accucciò accanto a me e io passai una buona mezz'ora ad accarezzare il
suo morbido pelo, prima di vedere quell'uomo uscire di casa, salutandomi con una mano
sollevata, prima di ripetere al padrone di casa che sarebbe tornato a trovarci il prossimo
sabato, magari per vedere se avevamo bisogno di aiuto e per fare due chiacchiere.
James non era più l'uomo solitario di un tempo, a quanto sembrava, qualcuno aveva deciso
di rivolgergli la parola, a meno che quell'uomo non lo avesse sempre fatto e non fosse stato
l'unico, insieme all'altro amico fattore, intervenuto a sgomberare la camera da letto per
aiutarci a rinnovarla.
Quando James richiuse la porta di casa, udii i suoi passi riportarlo in cucina. Ero in
fibrillazione e intimorita, allo stesso tempo, all'idea di dover affrontare l'argomento Emily,
ma avrei dovuto raccontargli ciò che mi aveva detto quest'ultima. Dovevo sapere la verità.
James mi raggiunse sul sofà dove ci distendemmo abbracciati sul morbido schienale, dopo
esserci scambiati un leggero bacio sulle labbra.
Poi sospirai e mi misi seduta sul bordo, nel tentativo di trovare le parole più adatte a
introdurre la conversazione che mi stava più a cuore in quel momento.
Sentivo il suo sguardo posarsi, leggero e sinuoso, su di me e l'idea che potessi ferirlo con i
miei dubbi, mi faceva stare già male, ma non avevo altra scelta. Non potevo comportarmi
diversamente.
Mi inumidii le labbra con la punta della lingua e presi la parola.
«Ho incontrato Emily stamattina lungo la strada che porta in centro.» affermai, voltandomi a
osservarne la reazione.
L'espressione sincera del suo viso non cambiò di un millimetro, ma il suo sguardo mi
chiese, prima ancora delle parole, cosa volessi dire e soprattutto dove volessi arrivare.
James, però, non emise un solo suono. Decise di rimanere in attesa di sapere ciò che avessi
da dirgli.
«Mi ha detto che vi siete visti, durante questo mese.» rivelai, cercando nei suoi occhi una
verità che, forse difficilmente, sarebbe venuta a galla. Quale sarebbe stata la sua risposta?
Mi avrebbe mentito oppure sarebbe riuscito a dire la verità?
James si sollevò di poco, assumendo un'espressione di rimprovero mista a incomprensione,
ma soprattutto al fastidio per il tipo di argomento che stavamo tornando a trattare.
«Perché mi stai parlando di nuovo di Emily?» mi chiese, incrociando le dita delle mani,
innanzi a sé.
Era vero, dunque?!
Mi alzai di scatto per guardarlo dritto negli occhi, anche se lui rimase seduto, calmo come
sempre, pacato, immobile e distaccato innanzi alle mie parole.
«Quindi è vero...» mormorai, mentre il cuore prese a martellarmi nel petto. «vi siete visti!»
esclamai, accusandolo di qualcosa che, probabilmente, non aveva mai fatto, ma di cui non
ero del tutto certa, fino a prova contraria.
Sarebbe stata per sempre la parola di Emily contro la sua.
«Ci siamo incontrati in paese una volta, per parlare di quanto era accaduto con te e poi
ciascuno ha preso la sua strada.» rispose.
«Mi stai mentendo.» ribattei, piegando le labbra in una smorfia di fastidio e dispiacere. «Lei
mi ha detto che avete fatto l'amore!» urlai, prima di scappare via per allontanarmi da
quell'uomo che poteva avermi mentito dal primo momento in cui ci eravamo conosciuti.
Non attesi neanche una risposta in grado di rassicurarmi che imboccai la via di uscita per
lasciarmi inghiottire dall'aperta campagna.
Un lampo in quel momento, in pieno giorno, squarciò il cielo e mi mostrò l'arrivo di una
nuova, temibile e terribile tempesta, prima che il suo tuono si lanciasse, funesto, su di me.
Corsi a perdifiato lungo un sentiero qualunque alla ricerca di un riparo nel quale rifugiarmi,
per poter stare lontano da lui e dalle sue bugie, dai silenzi misurati, dai segreti ancora celati,
dai suoi sguardi che stavano nascondendo ancora una verità sotterrata da qualche parte,
anche se non sapevo dove e in che modo.
Sentii il suo fiato sul collo, malgrado la corsa, ma non mi voltai neanche una volta, almeno
non prima di trovarmi a ridosso di un'immensa quercia sulle cui radici, alla fine, mi gettai in
ginocchio, affranta e distrutta. Avevo l'affanno e il cuore in gola, la voglia di vomitare e la
paura di realizzare che lui mi avesse seguita e raggiunta.
No, non poteva essere vero.
Lui doveva trovarsi ancora alla tenuta... lui era... lui...
Mi afferrò per un braccio e mi voltai, sussultando, terrorizzata.
James!
Era sempre stato dietro di me, riuscendo ad arrivare alla quercia, senza darmi tregua alcuna.
Il suo volto era stravolto e addolorato.
I suoi occhi stavano divorando in un boccone i miei e le dita avevano preso a stringere il
mio braccio tanto forte da lasciarmi temere che vi avrebbe lasciato il segno.
«Lasciami!» gli urlai, cercando di allontanarlo, invano.
«Emily ti ha mentito!» esclamò, senza mollare la presa, pur notando quanto cercassi di
divincolarmi.
Ero in ginocchio innanzi a quella quercia maestosa che stava assistendo alla resa dei conti e
lui sembrava volermi sollevare con la forza, senza riuscirvi.
Era una lotta tra la mia resistenza e la sua volontà.
«Perché lo hai fatto?» gli chiesi, cercando di moderare il tono della voce, pur essendo tanto
affranta da non riuscire più a pronunciare una sola parola.
James si inginocchiò per afferrarmi anche l'altro braccio, in modo da trovarci faccia a faccia.
«Emily non entra a casa mia da anni, ormai!» urlò, inferocito, mentre i suoi occhi
sembravano uscire dalle orbite. «Non l'ho toccata neanche con un dito, anche quando mi ha
rinfacciato la nostra relazione!» aggiunse. «Per strada ha detto di amarmi ancora, ma le ho
risposto che avrei aspettato il tuo ritorno e anche se ha tentato di farmi credere che non
saresti più partita per l'Inghilterra, io non mi sono arreso!» esclamò, prima di prendere fiato
con una pausa e ripetere: «Io non mi sono arreso!»
Il mio viso era una maschera di dolore che il pianto sarebbe sopraggiunto a lavare via, per
trascinarlo all'ingresso di un'anima in pena eterna.
«Sei un bugiardo!» esclamai, prima che le sue braccia si allungassero per stringermi a sé,
malgrado avessi preso a battere pugni sul suo torace coperto da una camicia semisbottonata
sul petto.
James mi strinse tanto forte da credere che non sarei più riuscita a respirare, ma continuavo
a urlare: «Mi hai mentito!»
«Non ti ho mai mentito, Morena.» rispose, appoggiando il suo mento sul mio capo e
baciandolo con labbra morbide e piene. «Ti ho sempre detto la verità.»
Sollevai di poco il viso per guardarlo negli occhi e riuscii a mormorare: «Lei mi ha detto che
avevate fatto l'amore anche anni fa sul tuo letto e che hai lasciato morire la cugina di tua
moglie per liberartene... per... per...»
Non riuscii più a proseguire, in quanto scoppiai in un pianto dirotto.
James si sollevò e mi costrinse a seguirlo per tornare a casa, prima che il temporale ci
avesse sorpresi all'aperto.
Una volta alla tenuta, mi condusse accanto al caminetto, lì dove ci eravamo amati la prima
volta e si inginocchiò ai miei piedi.
«Ti giuro che non ho mai più toccato Emily e che ti avrei aspettato fino a quando fossi
invecchiato.» disse. «Non avrei avuto più motivo di tornare sui miei passi. Emily non mi è
mai interessata. Io volevo te e nessun altro.»
I suoi occhi divennero lucidi e le labbra presero a tremare. Sapevo che si sarebbe lasciato
andare a un pianto liberatorio e mi inginocchiai per stringerci, ancora una volta, l'uno tra le
braccia e sul petto dell'altra.
Piansi fino a esaurire tutte le lacrime, mentre la sua voce, calda e profonda, continuò a
scandire una parola dietro l'altra e le sue dita ad accarezzarmi i capelli.
«La cugina di mia moglie è morta in un incidente stradale tra queste campagne.»
singhiozzò. «Le dissi, prima della partenza, che l'auto aveva bisogno di manutenzione,
perché mia moglie non ci aveva messo mano per troppo tempo e io stesso l'avevo lasciata
nel garage alle spalle della tenuta con il pensiero che nessuno si sarebbe mai più messo al
volante e che sarebbe diventata un ammasso di lamiere da offrire a qualunque officina
disposta a portarsela via.»
Fece una lunga, lunghissima pausa. Qualche minuto di silenzio e singhiozzi che ci videro
più uniti che mai e poi riprese la parola.
«Lei volle mettersi alla guida per tornare in Scozia dove aveva un cottage. Era una donna
separata e soffriva ancora nel ripensare a suo marito. Era venuta a presentarsi, in quanto non
ci eravamo mai conosciuti, e la passione scoppiò inevitabile tra noi, perché era la fotocopia
di mia moglie e io ne rimasi folgorato dal primo istante in cui la vidi.»
Pausa e ancora parole, tante, troppe parole a ferire, ma anche a chiarire quella lontana e
antica storia già ingiallita nelle fotografie dei suoi ricordi.
«Il giorno dell'incidente avevamo litigato. Voleva che la seguissi prima in Scozia e poi in
Irlanda dove aveva lasciato nelle mani dell'ex marito un figlio adottivo di cui avrebbe voluto
la custodia e voleva coinvolgermi in quella storia. Le dissi apertamente che non mi sarei mai
trasferito in Scozia, che era questo il mio posto e ci sarei morto, ma lei non lo accettò.
Litigammo per molti mesi, sempre per questo motivo, poi avvenne l'epilogo più impensato.»
Sollevai il volto a guardarlo e gli vidi il dolore annientarlo lì dove la verità prese corpo nei
suoi stessi occhi.
«Prese le chiavi dell'auto di mia moglie e se ne volle andare, dopo un violento litigio, in
quel preciso momento. Disse che non sarebbe mai più tornata, che era la sua ultima parola.»
James singhiozzò e mise fine al dolore, una volta per tutte.
«Non tornò più, perché morì... in quel maledetto incidente stradale.» concluse. «Lo venni a
sapere quel giorno stesso, quando la polizia mi informò e dovetti andare a riconoscere il
corpo.»
Poi abbassò lo sguardo su di me e disse: «Non sono mai stato responsabile della sua morte,
ho solo avuto la debolezza di non fermarla quando avrei dovuto, perché quell'auto era
troppo vecchia e per anni non era stata controllata da un meccanico per il suo buon
funzionamento.»
«Mi hai raccontato la verità?» Ebbi la sola forza di chiedergli, tra un singhiozzo e l'altro,
mentre le lacrime scivolavano come pioggia tra di noi.
«Sì, Morena.» terminò. «Ti ho sempre detto tutta la verità e non c'è altro da sapere. Te lo
giuro, perché io... io... ti amo. TI AMO, stupida che non sei altro!»
James e Morena
vissero insieme nella tenuta di Milford, UK,
fino all'età di 84 anni lui e 89 lei.
Ebbero una figlia, Karen, che all'età di 24 anni
si sposò con un ragazzo proveniente da un paesino confinante.
I due ebbero quattro figli: James, Susan, Nancy e Luke,
i quali vissero raccontando,
ai loro figli e ai figli dei loro figli,
la storia della loro famiglia.
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