Buongiorno follower, buon martedì!
Vi segnalo "Rosa di mezzanotte" dell'autrice Amneris Di Cesare, edito Go Ware.
Titolo: Rosa di mezzanotte
Autore: Amneris Di Cesare
Genere: Romance
Casa Editrice: GoWare
Disponibile in ebook a € 6,98
e in formato cartaceo a € 13,49
Pagina autore: Amneris Di Cesare
TRAMA:
Annabella e il turbolento figlio diciassettenne Federico
hanno deciso di passare una settimana a Roma. All’apparenza sembra un’innocua
vacanza, ma non è così. Già in macchina da Bologna, diretti verso la capitale,
Annabella si rende conto che il suo è un viaggio nel passato e deve fare i
conti con un’estate romana di molti anni prima, quando si era innamorata di
Gaetano, il padre di cui Federico non ha mai saputo nulla. Scoperta la sua
identità, il ragazzo riesce a trovare lavoro nel vivaio della famiglia che da
sempre gli è stata tenuta segreta. E così comincia a conoscere quel genitore
silenzioso, che non ha mai avuto nella sua vita...
Tra segreti, sotterfugi e inganni, alla fine dell’estate
Annabella e Federico scopriranno cosa il destino ha riservato alle loro vite.
BIOGRAFIA:
Amneris Di Cesare è nata a Sao Paulo del Brasile, vive a
Bologna. ha collaborato con riviste femminili. Ha pubblicato il saggio “Mamma
non mamma: la sfida di essere madri nel mondo di Harry Potter” nell’antologia
benefica Potterologia: dieci as-saggi dell’universo di J.K. Rowling
(CameloZampa Editore 2011) a cui è seguito poi l’ebook Mamma non mamma: le
madri minori nell’Universo di Harry Potter (Runa Editrice, 2015); ha
partecipato all’antologia collettiva di saggi Il Fantastico nella letteratura
per ragazzi edito da Runa Editrice con un saggio “Cassandra Clare e l’esalogia
di Shadowhunters” (2016). Il suo romanzo d’esordio, Nient'altro che amare
(Edizioni Cento Autori, ) ha vinto il Premio Letterario Mondoscrittura nel
2013; nel 2014 è uscito Mira dritto al Cuore (Runa Editrice) e nel 2015 Sirena
all’orizzonte (Amarganta). Direttrice di collana, scout e traduttrice per
Amarganta fino al 2018, a giugno 2019 è uscita la novella Riportami da te per
Delos Digital. Ha una pagina autore su Facebook:
https://www.facebook.com/AmnerisDiCesare2/
DICE L’AUTRICE:
Come la maggior parte dei romanzi che ho scritto, Rosa di
mezzanotte non sarebbe dovuto diventare un romanzo bensì restare racconto. Era
sera, faceva caldo e improvvisamente mi venne in mente un'altra estate, afosa
come quella. Solo che era l'estate della mia adolescenza, la prima esperienza
fuori di casa ai primi di giugno, ospite da un'amica a Roma. Furono i due mesi
più divertenti ed emozionanti della mia vita. Io, da sempre legata a regole
ferree e orari rigidissimi in casa, mi ritrovai a vivere da anarchica, a non
avere orari per rientrare né a pranzo né a cena, a restare fuori la notte fino
all'alba e in compagnia di una moltitudine di ragazzi, tutti simpaticissimi e
carichi di quella voglia di sperimentare che si ha solo a diciassette anni.
Incontrai anche l'amore, quello estivo che svapora al primo accenno di pioggia
autunnale. E mentre ricordavo, sorrisi, chiedendomi: “e se fosse andata
diversamente con lui? Se per caso...”
Come mi accade sempre, iniziai a scrivere sul mio
quadernino. Arrivai a metà della storia praticamente in una notte. E poi mi
fermai. Mi succede spesso. Mi considero un'autrice dilettante nonostante i
romanzi abbia scritto e pubblicato; scrivo di getto e mi lascio condurre dai
miei personaggi. E faccio parlare loro senza filtri. Ed è capitato anche questa
volta: uno dei personaggi che doveva restare “minore”, Federico, il figlio
ribelle di Annabella... prese il sopravvento. Non era previsto, nel racconto
doveva avere una parte marginale e invece mi innamorai di lui perdutamente. Lo
lasciai correre a briglia sciolta. E alla fine mi sono ritrovata a dovermi
fermare. Perché poi le “regole” di scrittura che negli anni ho appreso
iniziarono a tallonarmi: non si fa, si deve fare una scaletta, così stai
andando fuori tema, stai divagando, riprendi le redini della storia. Riprendere
le redini della storia... significò fermarmi completamente. Non riuscire ad
andare avanti.
Passò un anno e un'amica mi convinse a partecipare al
NaNoWriMo, la competizione internazionale di scrittura. In un mese – Novembre –
dovevo scrivere circa 50.000 parole. Ripresi in mano Rosa di mezzanotte e
terminai concludendo con successo sia il romanzo che la competizione.
Poi spedii a una piccola casa editrice agguerritissima con
la quale avevo già collaborato in passato sotto pseudonimo, GoWare. Non mi
aspettavo affatto che mi confermassero l'acquisizione ma soprattutto, il colpo
al cuore è stato il fatto che a scegliermi e a includermi nella sua collana I
pesci rossi sarebbe stato nientemeno che Luigi Romolo Carrino, scrittore di
grande valore e dalla critica tagliente. Con il cuore in gola ho lasciato che
mi conducesse nel percorso successivo, quello dell'editing, un'esperienza ancor
più esaltante del vedersi accettare un romanzo. Ho imparato tantissimo, Carrino
è preciso, pignolo (lo dico come complimento), attentissimo ma anche paziente,
disponibile e... affascinante. E questa collaborazione, questa esperienza di
editing con lui è già la ricompensa più bella che un autore possa ricevere da
un proprio testo.
Tutto il resto, davvero, per me conta molto poco.
Rosa di mezzanotte racconta la storia di una madre,
Annabella, che si ritrova giovanissima a crescere un figlio e a lottare contro
i pregiudizi, sia familiari che della società; resta fedele al ricordo
dell'uomo che le ha regalato Federico, senza svelare però a nessuno dei due la
loro esistenza. Diciassettenne, turbolento e sarcastico, il ragazzino non le ha
mai rivolto domande sul padre, mostrandosi disinteressato ma invece intimamente
curioso. E un viaggio, all'apparenza di piacere a Roma lo porterà a conoscere
da vicino quel genitore di cui non ha mai saputo nulla ma anche a prendere
coscienza di una parte molto importante di sé. Rosa di mezzanotte è sì una
storia di diversi amori: sentimenti profondi che raccontano realtà differenti e
modi diversi di esprimere se stessi.
BREVE ESTRATTO:
Bologna-Roma, 9 giugno, domenica
«Dai, che ce la fai!», grida Federico incitandomi. «Visto?
Non ce l’hai fatta.»
«Quante volte devo ripeterti che il giallo non è un
avvertimento ad accelerare ma il contrario? Se non si è già impegnato
l’incrocio, bisogna fermarsi e aspettare il rosso.»
«Uffa, mamma, sei sempre così ligia alle regole tu!»
Lo guardo e sorrido. Sapesse come non è vero! Se avessi
seguito le regole oggi lui non sarebbe qui, accanto a me, da diciassette anni
ormai. È bello mio figlio. Non dovrei dirlo, ma non lo posso negare. Con quei
capelli nero corvino, dritti e tenuti un po’ lunghi, spettinati e ribelli. E
gli occhi, ancor più scuri e profondi che sembrano volerti entrar dentro e
scrutare ogni cosa fin nei minimi particolari. Contornati da ciglia
lunghissime, quasi femminili, che addolciscono lo sguardo e lo rendono più
misterioso. Sospiro, pensando che probabilmente assomiglia al padre. Mi dico
probabilmente ogni volta perché, strano a dirsi, il volto di suo padre non lo
ricordo. So chi è, ricordo tutto di noi e della nostra brevissima storia e
anche di come sia dolorosamente finita, ma il suo volto è nascosto da un alone
di mistero che mi cela i dettagli di un viso che ho comunque molto amato.
Insisto, come ogni volta che penso a Gaetano, a forzare il
perimetro dei ricordi e acciuffare un particolare in più tra i frammenti di
memoria di quel periodo. Rivedo i capelli neri, belli, lisci, la mascella
squadrata e forte, riesco a vedere la bocca carnosa e sensuale, quella la
ricordo bene perché restavo ore a fissarla con ammirazione, come in trance,
incantata a seguire i movimenti di quelle labbra, a immaginarle sulle mie,
sulla pelle. I denti bianchi, perfetti, completavano un sorriso magnetico che
dava linfa alla profondità dello sguardo intenso, pericoloso perché pregno di
esperienza. Ma poi, per il resto, di quel volto il nulla. Vuoto totale. Ho ben
impresse nella mente le sue spalle nude e tornite, i bicipiti gonfi e lisci,
abbronzati e di una forza maschia che scappava dalla maglietta bianca
perennemente indossata sopra jeans blu slavati. E il ricordo di quella
sensazione di durezza, di quei muscoli massicci sul mio corpo quando mi
avvolgeva tutta, trafiggendomi di un dolore buono di cui non ero mai sazia. E
del mio tentare di ribellarmi, irrigidendomi.
A diciassette anni non volevo perdere la verginità. Avrei
voluto donarla solo all’uomo che avrei sposato. A Gaetano sarebbero bastate due
settimane per farmi capitolare e mandare a puttane i miei propositi di brava
ragazza.
«Pronto? Ci sei? Sei connessa?»
Una mano mi sventola davanti alla faccia mentre la voce un
po’ ironica e un po’ arrabbiata di mio figlio mi sveglia. Un’altra trance, di
quella delle mie, che mi prendono di solito quando mi rifugio nel passato.
Purtroppo non riesco a dimenticare, soprattutto non riesco a farmi risultare il
presente più vero e concreto di ciò che ho vissuto in tempi ormai andati. È da
sempre il mio più grande difetto: vivo tra le nuvole di un passato che non tornerà
più.
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