Buon pomeriggio amici lettori!
Vi segnalo "Asintoti e altre storie in grammi" la raccolta di poesie dell'autore Davide Rocco Colacrai, edita Le Mezzelane.
Autore: Davide Rocco Colacrai
Genere: Poesia
Casa editrice: Le Mezzelane
Disponibile in ebook a € 2,79
E in formato cartaceo a € 12,35
Contatto Facebook: Davide Rocco Colacrai
Asintoti e altre storie in grammi è il mio ottavo libro di poesia, pubblicato con Le Mezzelane, piccola casa editrice con cui avevo già pubblicato il pluripremiato e fortunato volume Istantanee Donna (poesie al femminile). Come suggerisce il titolo, Asintoti è una raccolta di frammenti in cui si specchia, o raccoglie, il mondo nelle sue plurime estensioni di vita. Si parla dell'11 settembre, della famiglia (la stessa storia viene raccontata da due punti di vista diversi, quello del padre e quello della madre), dei manicomi, si parla dell'amicizia, dell'assenza e si parla dell'amore.
Le mie poesie nascono solitamente quando leggo un ottimo libro, mi commuovo davanti a un film, ascolto attentamente una canzone o mi viene raccontata una storia che tocca e fa risuonare l’arpa di cristallo che porto dentro il mio cuore. Quando lavoro a un libro, parto normalmente dall’idea del titolo – in questo caso, Asintoti e altre storie in grammi – e poi arrivano “come da sé” le poesie che lo devono comporre. È un lavoro completamente intuitivo, quasi magico, come se il libro fosse pronto in una dimensione a noi invisibile e prendesse vita, si materializzasse, attraverso di me in un certo momento: quel momento in cui è pronto – mi piace pensare: né un alito prima né un alito dopo.
Davide Rocco Colacrai è nato e cresciuto a Zurigo. Dopo essere arrivato in Italia per gli studi liceali (maturità scientifica), si è laureato a pieni voti in Giurisprudenza presso l'Università di Firenze, dove ha conseguito anche una specializzazione post lauream in studi giuridici e il Master di II Livello in Psichiatria forense e Criminologia. Attualmente lavora come impiegato.
Fino a quando l’alba tornerà
E quando arriva la notte, e resto sola con me
la testa parte e va in giro, in cerca dei suoi perché
né vincitori né vinti, si esce sconfitti a metà
la vita può allontanarci, l’amore continuerà
Anche la notte ha bisogno di asciugarsi
e lo fa dopo essersi immersa nelle lacrime che consola,
leccandosi di dosso gli anni
con cui molti lavorano un’assenza di cui non conoscono la forma,
le contraddizioni del nome, e i suoi confini,
e come una madre, la notte non si compie mai,
col seno proteso al mondo, le vesti scostate per attenuare gli umori,
il suo essere certa, in ascolto, mentre fuori nevica parole e non c’è stagione.
Ci sono cuscini che non sanno cos’è il perdono,
schiacciati, come sono, dai sogni
rimasti sospesi nel paracadute di chi li ha sognati,
alcuni sono spremuti in un suono
a metà tra i paradossi del giorno e le inquietudini del mattino,
altri portano al baricentro con sé
un canto indefinito come quello degli angeli,
ci sono quelli, e sono i più, messi a nudo da monologhi
dove i ‘mai’ e i ‘per sempre’ finiscono per identificarsi in un ricambio all’infinito.
E poi ancora labbra che tremano come uve,
mani che stringono ricordi, o il dolore liquoroso del momento dopo,
la carne a lasciarsi andare alla fiamma del dubbio,
il silenzio,
lo struggimento,
e l’attesa, dilatata, di un senso, o almeno di una fisicità della congiuntura, e ancora.
Siamo noi le costellazioni che misurano i pescatori
quando vanno al largo, noi il profumo del tramonto di settembre
che si consuma in un fiammifero, sempre noi il bicchiere senza peso di profilo alla notte.
La mia versione dei ricordi (a Fondo Gesù)
appartengo ad un cortile, sudato quanto basta,
dove si sono intersecati sogni,
promesse e voti ai santi,
parole, spesso disattese,
uomini che non ricordano di aver mai avuto un’infanzia
e madri ancora in attesa della loro favola,
troppi puntieacapo,
pochi metri quadrati a sfinire una vita come un amplesso postumo,
orfana e nuda,
ai piedi di casamenti stanchi di ruminare
in mezzo al cielo
e non portare niente di buono, neanche mezzo desiderio, in terra,
a noi affamati di amore.
si consuma il tempo, sembra pressoché sempre ieri,
e, con esso, il coraggio di fingere un’altra vita,
comunque diversa,
di credere che c’è qualcosa, anche per noi,
dopo i confini,
la forza, o semplice volontà, di non assomigliare agli altri,
lo spazio per gli anni di tramutarsi in ricordi,
belli o brutti non importa,
il conforto di chi ci ha impresso con il suo nome,
e ci consumiamo anche noi
secondo la legge della nostra malasorte.
indossiamo la povertà, insieme marchio e scudo,
che mai si asciuga nei nostri occhi,
sporchi di fuochi d’artificio e mare, del canto della lontananza,
e di mediterraneo addosso.
io, come gli altri, figlio dell’iradiddio.
nella solitudine della mano del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento