Buon pomeriggio amici lettori!
Recensione: "Il pensiero tibetano" di Dejanira Bada, edito Giunti Editore.
A cura di Silvia Iside.
Titolo: Il pensiero tibetano
Autore: Dejanira Bada
Casa editrice: Giunti Editore
Collana: Varia Ispirazione
Disponibile in ebook a € 11,99
E in formato cartaceo a € 17,10
Contatto Facebook: Dejanira Bada
TRAMA:
Dopo innumerevoli pellegrinaggi, anni di studio, di ricerca, di pratica, sto ancora rincorrendo l’elefante. Ma certi giorni riesco a raggiungere un diffuso senso di pace e la mente mi appare come un limpido cielo: allora mi sembra di non aver bisogno di altro.
In Tibet shiné è la pratica del Calmo dimorare, nonché il nome di un famoso di-pinto che raffigura un monaco nell’atto di inseguire un elefante nero, ovvero la sua mente. L’inseguimento consiste in nove stadi, che lo condurranno infine alla meditazione lhakthong, la pratica della visione profonda o analitica, che ha inizio con il decimo e undicesimo stadio e che gli consentirà di raggiungere l’illuminazione.
Ci muoviamo nel testo seguendo tale sentiero. A piccoli passi sul tetto del mondo. Che cosa ci rimane del Tibet dopo il cammino? Di cosa possiamo fare tesoro? Oggi la meditazione sta entrando sempre di più nella vita di noi stressati occidentali. Ricordiamo però di portare sempre il dovuto rispetto: cerchiamo d’informarci e di non praticare solo per raggiungere obiettivi egoistici. Integrando la meditazione nella nostra quotidianità possiamo infatti ottenere benefici non solo per noi stessi, ma anche per gli altri e per il mondo.
Il pensiero tibetano di Dejanira Bada è un libro che parte dal presupposto che la meditazione non possa essere praticata senza una guida e attraverso le metafore dell’elefante e della scimmia, facenti riferimento alle nostre menti umane e distraibili, si propone di illustrare il percorso da seguire all’aspirante praticante.
Si apre con una parte di spiegazioni su cosa è la meditazione, composta di concetti più che noti e poi passa al più interessante racconto del viaggio in Tibet dell’autore. Di una parte di storia di questo affascinante paese, nello specifico della dominazione cinese della quale è stato ed è tutt’ora vittima.
Il divieto di riconoscere il Dalai Lama come capo spirituale, di possedere immagini che lo rappresentano, la presenza di autostrade intonse piazzate a guastare il paesaggio e usate all’occorrenza solo da ricchi turisti, precedono il racconto dei confronti intellettuali tra i monaci. Questi si svolgono come duelli fino a quando uno dei due deve riconoscere l’inconfutabilità delle argomentazioni dell’avversario.
Poi si parla dei motivi per cui la meditazione non va seguita come una moda, del Buddha, di alcuni usi dei monaci e di come un laico può tranquillamente apprendere a meditare anche camminando.
Per me la parte più avvincente del libro restano i racconti sul Tibet, dei suoi fantasmi, delle sue tragedie, del suo sovrano costretto ad andarsene, la cui storia è assolutamente da conoscere perché rappresenta un esempio e un’icona come persona, nonché dei suoi paesaggi e degli incontri che vi si possono fare e lo consiglio per questo.
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