STORIA CONDIVISA - 1^ PARTE
"Davanti a me posso ammirare lo spettacolo del sole che
si fonde con l’orizzonte, mentre…"
Siamo partiti da questa frase, proposta da noi, per poi
continuare grazie ai commenti che, in sequenza, hanno creato l’inizio di una
storia che risulta davvero credibile. Il tono del racconto, man mano che
andavamo avanti, si è trasformato, facendo intuire una vicenda colma di
suspance e mistero.
Grazie a Lorella Barra, Lavinia Brilli, Monica Montanari,
Angela Molfetta, Giulio Remorgida, Franca Poli, Serenella Procopio, Lucilla
Celso e Alessia Toscano per avere scritto insieme, commentando, questa bella
storia.
L’abbiamo assemblata ed ecco il risultato.
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Davanti a me posso ammirare lo spettacolo del sole che si
fonde con l’orizzonte, mentre sono seduta in veranda, con un libro in una mano
e una tazza di cioccolata calda nell’altra.
Ricordo l’ultima cosa che mio padre ha detto prima di
morire: “Marisa, ora tu sei la prossima”. Non ho mai capito fino a dove
scherzasse: mia madre era morta qualche anno prima di lui, e non avevo sorelle
o cugini. Era vero, quindi, in un certo senso.
Il cielo è un foulard oblungo di punteggiature amorfe e
strisce sfumate; punti e leve; striature e colori; impercettibili aperture qua
e là: forse è la traccia di un aereo o solo la vista che comincia a perdere
colpi.
Porto la tazza alla bocca e butto giù una sorsata
abbondante. Solo così riesco a rilassarmi, solo così posso liberare la mente. È
il mio momento magico. Socchiudo gli occhi: io, la cioccolata e il tramonto.
Nient’altro. Voglio scacciare i pensieri più cupi; riprendo in mano il libro,
ma nulla riesce a distogliermi: continuano a tornarmi in mente le strane parole
di mio padre. Forse non ha fatto in tempo a rivelarmi qualcosa di importante
sulla nostra famiglia.
Inoltre, il ricordo dello sguardo penetrante di Luca che,
liquido, accarezza il mio corpo non mi lascia scampo: al solo pensiero di lui,
mi scivola il libro dalle ginocchia. Succede sempre così: Luca continua a
scombussolarmi con un fremito che mi scuote il corpo ogni volta che ci penso.
Mi allungo a raccogliere il libro. Si è aperto in una pagina
a caso e mi saltano all’occhio due semplici paroline stampate: “TI AMO”. Perché
mai continuo a leggere storie d’amore, se non ci credo più? Forse, perché
questo sentimento si può trovare solo lì, nei romanzi o nei film. Quando mai
accade che una persona ne guardi un’altra negli occhi, dicendole: “TI AMO”?
Ormai mi sento disincantata e disillusa: l’amore non fa per
me. Non più dopo Luca, almeno. Io non ho bisogno di favole, ma della realtà,
vissuta a pieno con una persona che mi desideri davvero.
Solo che ora non ci posso pensare. Devo scavare nei segreti della mia famiglia:
magari, se mi impegnassi a cercare negli angoli, nei cassetti, nelle tasche…
qualcosa riuscirei a trovare.
Finalmente, mi decido a salire in soffitta. Mi guardo
intorno, la mia attenzione si posa su una scatola polverosa, un po’ ammuffita.
Incuriosita, mi avvicino e, quasi intimorita, sollevo il coperchio. Dentro
trovo un diario dalla copertina rossa. Lo apro e, sulla prima pagina, c’è
scritto: “Alba”, il nome di mia madre.
Emozionata, mi siedo per terra, senza preoccuparmi del
freddo, e mi accingo a leggere i suoi pensieri, quel diario di cui avevo sempre
sospettato l’esistenza, senza mai averne prove reali. Le prime parole mi aprono
scenari domestici che si sposano perfettamente ai miei ricordi di bambina.
Eppure una certa inquietudine si fa strada dentro di me. Questa calligrafia,
sono sicura, non era la sua.
Interrompo la lettura per tornare a guardare all’interno
della scatola ammuffita. Ci sono alcuni oggetti che riconosco esserle
appartenuti, come una vecchia spazzola per capelli dal manico d’argento e un
fermaglio d’avorio. Ma grande è la mia sorpresa, quando, sotto a una piccola
pezza di velluto blu, spunta un ciondolo d’oro a forma di rosa. Una rosa blu.
«Ferma, non ti muovere». Il sussurro soffice è così vicino
al mio orecchio da risuonarmi dentro come una voce interiore, mentre il brivido
caldo di un respiro accarezza il velluto della pelle più delicata, sommandosi a
quello ghiacciato della paura. Mi volto lentamente e una faccia sciupata dalla
barba malfatta mi sorride in una piega ampia e tirata.
Lo sguardo sottile e penetrante di uno sconosciuto non mi
lascia scampo: «Sono evaso», sibila. «La staccionata è bassa, ragazza.
Rientriamo senza fare storie, vero?» Chissà di che staccionata sta parlando,
non di una prigione, certo: le carceri non hanno staccionate, solo mura altissime.
Il gelo mi scorre sulla schiena, proprio dove mi sento
puntare qualcosa di pungente. Nel suo tentativo di afferrarmi per un braccio,
noto sul suo viso una piccola smorfia di dolore mentre, contemporaneamente, si
stringe un fianco.
«Tranquilla, non ti farò del male. Voglio solo che mi
medichi una ferita e, poi, ti lascerò in pace».
«Cosa?» Sono allibita. «Non posso farlo: non sopporto la vista del sangue».
«Stai scherzando, cocca?» Mi ruggisce queste parole con voce
forzatamente roca, ma ferma.
«Tu mi medicherai la ferita e me ne andrò questa sera
stessa. Sei un medico, no?»
«No, che non lo sono».
«Sì, che lo sei, non fare la furba. Ho sentito due signore
compatirti dicendo: “La dottoressa, da quando il padre è morto, è rimasta da
sola nella casa con il tetto blu”. E questa è l’unica casa col tetto blu».
«È vero! Sono dottoressa, ma in legge».
Lo sconosciuto ha un singulto, sembra sull’orlo di un
mancamento. Voglio solo sperare che riesca ancora a stringersi quella ferita
sul fianco, prima che mi riempia il pavimento di sangue.
Mi seccherebbe un sacco dover passare lo straccio, poi.
Oddio, la paura mi fa pensare cose senza senso, in questo momento.
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E qui ci siamo fermati, purtroppo, ma sarebbe interessante continuare l’esperimento. Se la pensate come noi, vi aspettiamo nel gruppo delle harmonyne (QUI) dove potrete partecipare attivamente alla realizzazione di questa intrigante e coinvolgente storia 😊
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